Nel recente anniversario del delitto Moro e dell'impronta satanica che lo segnava ̶ ¬rapimento dello statista con l'uccisione dei cinque uomini della scorta, sua segregazione in un nascondiglio che i preposti organi dello Stato, nel corso dei 55 giorni successivi, non sarebbero riusciti a rintracciare, fluire di lettere velenose dettate dai carcerieri, rinvenimento del cadavere del segretario DC nel bagagliaio di un'auto parcheggiata nei pressi dell'allora sede nazionale del PCI ̶ mi sono riproposta di riaprire i libri custoditi nella mia biblioteca riferiti a quelle tragiche vicende del marzo, aprile, maggio 1978 che scossero l'Italia fino alle fondamenta. Una forza eversiva pari a quella contenuta nel delitto Matteotti nel 1924.
Nella rassegna di quegli scritti ho dedicato un'attenzione particolare ̶ una vera e propria riscoperta ̶ al brano redatto da Moro nel gennaio 1978 e affidato a “Il Giorno”, il quotidiano allora tra i più diffusi, per la pubblicazione. Ma il brano rimase inedito, la direzione del giornale aveva invocato “motivi di opportunità” per non darlo alla stampa.
Quello scritto di Moro ha visto la luce molti anni dopo, all'inizio del 2012, nell'ambito della collana “La democrazia incompiuta” edita dal Corriere della Sera. In tali pagine Moro si mostra turbato e un po' spazientito nei confronti del Governo degli Stati Uniti dato che, anche per l'irritualità del metodo adottato nel comunicarli, “i giudizi espressi nei giorni scorsi da parte americana sugli sviluppi della politica italiana e la possibilità di
accesso dei comunisti al governo del paese hanno destato vivaci polemiche ed introdotto qualche nuova ragione di tensione.”
Attento e meticoloso, Moro torna ad enucleare le ragioni del progetto cui stavano lavorando, insieme alla Democrazia Cristiana da lui diretta, il PCI di Enrico Berlinguer, il PSI di Francesco De Martino, il PRI di Ugo La Malfa e il PSDI di Pier Luigi Romita.
Essi avevano davanti una situazione nuova, di grave emergenza ̶ crisi petrolifera, pesante ritmo inflattivo, arretratezza e restringimento della struttura industriale, tensioni sociali, minacce eversive ̶ per la quale occorrevano soluzioni programmatiche e politiche che scongiurassero la paralisi, o qualcosa di peggio, di traumatico, verso svolte autoritarie. Lavoravano pertanto ad un'intesa ampia, tra partiti diversi, ma il cui punto
più delicato sapevano essere rappresentato dal rapporto con il PCI, che dopo trent'anni di “conventio ad excludendum”, sarebbe tornato a far parte di una maggioranza sostenitrice del governo.
Moro, rassicurando della scrupolosa valutazione fatta in ordine a rilevanti problemi di ordine internazionale e alleanze militari, ribadendo la natura circoscritta dell'accordo con il PCI cui riconosce realismo politico e lealtà di comportamento oltre che grande forza di consenso elettorale, afferma, fiero, che “a noi tocca decidere, sulla base della nostra conoscenza, in piena autonomia, ma con grande equilibrio e senso di responsabilità.”
Il suo voto di approvazione, nelle aule del Parlamento, la mattina del 16 marzo 1978, per la soluzione che aveva indicato come “equilibrata e adatta al momento” guardando agli interessi del Paese, Moro non lo potè esprimere. In via Fani, un'ora prima, era successo quel che era successo.
Il rifiuto di ingerenze straniere, l'affermazione dell'autonomia, indipendenza e sovranità del proprio Paese, furono tra i valori che sostenevano l'alleanza di “solidarietà nazionale”, come la chiamava Berlinguer.
Sono gli stessi valori e principi che oggi, nel mondo, spronano alla costruzione di un ordine multipolare, più giusto e democratico, basato sul diritto internazionale, il ruolo centrale dell'ONU, le diversità culturali e di civiltà, su un equilibrio calibrante gli interessi di tutti i membri della comunità internazionale.
Maria Agostina Pellegatta