Riportiamo di seguito un articolo di Giuseppe Gargani "I magistrati che pretendono di uscire dalla aule di giustizia e lottare per i diritti contrastano la nostra Carta", pubblicato su Il Dubbio del 17 ottobre 2023:
I magistrati che pretendono di uscire dalla aule di giustizia e lottare per i diritti contrastano la nostra Carta - Colombo ha scritto che è stata devoluta alla magistratura una serie di compiti che non sono suoi propri e c he investono più la funzione p9olitica che quella giurisdizionale
La decisione del giudice di Catania di non convalidare il “trattenimento” di alcuni migranti previsto dal decreto legge del governo, ha scatenato polemiche molto mediocri e non appropriate, ma ha evidenziato una problematica che è sotto traccia da vari anni e che deve finalmente essere messa in evidenza: il ruolo del magistrato e del giudice in una democrazia “avanzata” come la nostra
Naturalmente abbiamo già dato solidarietà al giudice per il provvedimento che è stato valutato corretto dalla migliore cultura giuridica e costituzionale, per una elementare (non sofisticata) incostituzionalità e per una evidente e palese irrazionalità. Aspettiamo comunque la decisione della Cassazione.
Aggiungiamo che i vari interventi che vi sono stati anche da parte di singoli magistrati, le prese di posizione del Congresso della corrente di Magistratura Democratica e per ultimo la presa di posizione di un magistrato di talento come Armando Spataro, ci riportano ad una problematica che non possiamo più ignorare.
La Costituzione stabilisce che la magistratura è un “ordine autonomo” ed è soggetta solo alla legge, ma l’evoluzione del diritto, le nuove libertà, le nuove conquiste sociali, l’evoluzione della tecnica, in una parola il progresso della civiltà, hanno reso inadeguata qualunque decisione o qualunque dichiarazione che non tenga conto di questa complessa problematica: di qui i contrasti. Bisogna riconoscere che la interpretazione delle norme da parte della magistratura lungo gli anni ha prevalso sul dettato formale della norma stessa sempre più incerto o a volte improbabile, determinando una prevalenza della giurisprudenza sulla legislazione e quindi sulla politica.
Soffriamo da vari anni questa contraddizione non avvertita dai partiti per il passato, o sottovaluta, sulla quale il Parlamento, gli attuali movimenti politici nel loro insieme, non sono in grado di offrire soluzioni.
La diagnosi è questa e la terapia è difficile da trovare perché anche la cultura giuridica dominante trascura qualunque approfondimento.
L’ostacolo ulteriore è nel corpo della magistratura che da anni rifiuta qualunque confronto e qualunque riforma perché chiusa nella sua autonomia e nel suo “potere”.
Il ruolo diverso del giudice, e non solo in Italia, è una realtà della quale bisogna prendere atto e il legislatore ha il dovere di disciplinarlo.
L’ “autonomia” prevista dalla Costituzione metteva al riparo la magistratura da ingerenze esterne, ed era importante in quegli anni perché i costituenti risentivano dell’esperienza fascista, e volevano “proteggere” la magistratura dalle ingerenze degli altri poteri. Ora però, dopo la lunga esperienza democratica del dopoguerra, quella autonomia determina separatezza e irresponsabilità e mette in ombra l’indipendenza, perché determina una autorefenzialità e una chiusura della categoria. La quale ha un unico riferimento nel CSM che interpreta impropriamente come “organo di autogoverno” per “proteggere” appunto la sua “autonomia” senza coordinamento istituzionale.
La indipendenza non è irresponsabilità, e una esasperata “autonomia” porta alla chiusura e alla “casta” incontrollata.
Tutto questo determina uno scontro con gli altri poteri che ormai dura da anni e si è fortemente acuito con la dichiarazione del Presidente del Consiglio, (che in verità non ha precedenti), che attribuisce alla decisione del giudice la responsabilità di non garantire la legalità statuita dalle leggi fatte da una maggioranza eletta dal popolo. Dall’altra parte la magistratura da anni dichiara di accettare fino in fondo il ruolo di supplenza e anzi di aver consapevolezza della delega del legislatore e di attuarla fino in fondo.
Il magistrato Colombo negli anni ‘70, ha scritto a chiare lettere che “è stata devoluta alla magistratura una serie di compiti che non sono suoi propri e che investono più la funzione politica che non quella giurisdizionale. Ciò ha portato necessariamente l’ordine giudiziario, ad invadere sfere di intervento istituzionale riservate ad altri, e succede che spesso l’unica attività di controllo sia rappresentata dal controllo giudiziario, che si trasforma in controllo politico nella misura in cui ha come conseguenza di incidere sulla vita politica dello Stato”.
Qualche settimana fa il direttore di Questione Giustizia, ha scritto “in molti casi della vita sociale ed economica, è il giudiziario ad intervenire in esclusiva, nella ricerca di soluzione di problemi inediti talora incancreniti nella paralisi e dall’inerzia della politica… e quindi c’è bisogno di una magistratura che assolva un incisivo ruolo di garanzia dei diritti individuali e della dignità delle persone”.
Al convegno di magistratura democratica è stato votato un ordine del giorno che propone: “ Dobbiamo uscire dalle aule dei tribunali e partecipare al dibattito pubblico per spiegare ai cittadini che il drastico ridimensionamento del controllo giudiziario prima di ogni altra cosa colpisce l'effettività dei loro diritti, coinvolgendo nella riflessione e nella critica le voci politiche, sociali e culturali che sono più affezionate al bilanciamento tra i poteri garantito dalla Costituzione, ma anche l’avvocatura ed il personale amministrativo, che con noi partecipano alla costruzione della giurisdizione”.
Qualche giorno fa Spataro ha scritto che: “l’esporsi pubblicamente è possibile se collegato ai temi propri della giustizia, di qui lo schierarsi di tanti magistrati negli ultimi decenni in difesa di principi costituzionali su cui si regge ogni democrazia e dei diritti dei più deboli”.
C’è una linea comune in queste dichiarazioni che attribuisce una funzione alla magistratura fuori dalle aule della giustizia e che è in contrasto con il buonsenso e con la Costituzione scritta, ma anche con la Costituzione materiale.
I magistrati dunque pretendono di “lottare” per i diritti e la lotta è sempre “politica” e porta inevitabilmente parzialità e in questo caso irresponsabilità.
Mi viene da rilevare che ci si scandalizza del giudice che partecipa ad una manifestazione a Catania e non ci si lamenta del convegno politico di magistratura democratica a Palermo al quale hanno partecipato due segretari di partito scelti naturalmente per ragioni politiche.
Come non rendersi conto di questo?! Se si deve riformare il ruolo del magistrato e adeguarlo ai tempi si deve collegare la sua indipendenza alla responsabilità.
Il costituzionalismo moderno non può non porsi questo problema, che riconosco è molto arduo e complesso, ma è un problema della democrazia che ha bisogno di essere risolto.
Le riforme da approvare sono di ordine costituzionale e riguardano un rapporto equilibrato tra laici e togati nel CSM con riferimento diverso ai pubblici ministeri e ai giudici. Una distinzione costituzionale dei due diversi “mestieri”, che costituisce il presupposto per un corretto rapporto all’interno della magistratura, e tra i magistrati e le istituzioni, è fondamentale perché coerente alla natura del processo: i mestieri sono diversi, come ci ha detto ripetutamente un magistrato di grande livello come Falcone.
Di conseguenza l’azione penale che inizia attualmente con assoluta discrezionalità del singolo pm e costituisce una assoluta eccezione rispetto agli ordinamenti giudiziari dei paesi democratici, deve essere disciplinata in maniera diversa.
Questi punti costituiscono il presupposto per altri interventi che ne derivano di conseguenza come quelli che il Ministro della Giustizia ha presentato o presenterà in Parlamento.
È necessario e urgente trovare un’intesa con i magistrati consapevoli di questa problematica che sia capace di allontanare la rissa e la polemica sempre interessata e faziosa e riporti tutto sul piano istituzionale, perché l’equilibrio dei poteri è la condizione per la democrazia.
Giuseppe Gargani