In attesa della pronuncia di secondo grado da parte del Consiglio di garanzia del Senato, come pro-memoria per i nostri soci e per tutti coloro che fossero interessati al buon funzionamento delle istituzioni e al rispetto delle garanzie processuali (a partire da quella della terzietà del giudice) ri-pubblichiamo la sentenza di primo grado della Commissione contenziosa del Senato, depositata il 5 ottobre 2020 e appellata dalla Presidenza del Senato, che dà pienamente ragione ai ricorrenti nel contenzioso sul ricalcolo retroattivo dei vitalizi maturati prima della riforma del sistema previdenziale di deputati e senatori del 2012. Di quella sentenza, oltre al testo integrale, mettiamo in evidenza, qui di seguito, il nucleo centrale che censura la delibera 6/2018 del Senato in quanto “esorbita” dai principi costituzionali che disciplinano l’esercizio di un potere legittimo e in quanto riforma in modo irragionevole l’”atto genetico” che è all’origine del diritto violato, ben al di là di quanto sia ammissibile nel caso di modifica dei rapporti di durata tutelati dal “legittimo affidamento”. Ricordiamo che la Commissione contenziosa del Senato, presieduta dal senatore Giacomo Caliendo (nella foto), è composta da tre senatori in carica e da due giudici “laici” e che relatore della sentenza che ri-pubblichiamo fu il “laico” prof. Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, recentemente scomparso. Il nostro auspicio è che tutte le motivazioni della sentenza di primo grado siano prese in seria considerazione dai giudici di secondo grado.
Ecco lo stralcio della parte centrale della sentenza 660/2020 (il grassetto è redazionale):
(...)
" 8. Attesa la natura previdenziale dei vitalizi, si pone la questione della modificabilità nel tempo della disciplina delle prestazioni in atto, dato che la deliberazione n. 6 del 16 ottobre 2018 incide in peius su diritti soggettivi perfetti quale quello alle prestazioni previdenziali già attribuite, le cui erogazioni periodiche costituiscono esecuzione di un diritto riconosciuto e in godimento.
Al riguardo soccorre la giurisprudenza della Corte costituzionale la quale, pur ammettendo che i trattamenti pensionistici possano subire delle modificazioni, ha tuttavia ribadito il principio dell’affidamento quale fondamento dello Stato di diritto (cfr. ad esempio, la sentenza n. 822 dcl 1988), nonché il principio generale di ragionevolezza che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento (Corte costituzionale, sentenza n. 108 del 2019) e che, in relazione alla normativa che interviene retroattivamente in peius sulle attribuzioni di natura patrimoniale, deve essere oggetto di uno scrutinio di grado più elevato di quello che di norma è affidato alla mancanza di arbitrarietà (Corte costituzionale, sentenze nn. 108 de1 2019 e 173 del 2016), dovendosi verificare non già «la mera assenza di scelte normative manifestamente arbitrarie, ma 1’effettiva sussistenza di giustificazioni ragionevoli dell’intervento legislativo, poiché la normativa retroattiva incide sulla “certezza dci rapporti preteriti” nonché sul legittimo affidamento dei soggetti interessati» (Corte costituzionale, sentenza n. 108 dcl 2019).
In questa direzione occorre così considerare i limiti indicati dalla Corte costituzionale alla possibilità di una revisione in peius dei trattamenti pensionistici che possono riassumersi nel modo seguente: la straordinarietà dell’intervento, indotto da inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica e fermo restando un nesso di proporzionalità tra i sacrifici soggettivi ed il ristoro del bilancio pubblico; l’estensione a tutto il comparto dei trattamenti pensionistici del sacrificio in questione, giacché l'imposizione ad una sola categoria di pensionati verrebbe a cozzare co1 principio costituzionale di eguaglianza (cfr. sentenze n. 264 del 2012; nn. 116 e 304 del 2013). Un altro requisito indicato ormai in modo consolidato dalla giurisprudenza costituzionale ai fini della legittimità di un intervento riduttivo sulle prestazioni di tipo previdenziale risiede nella temporaneità del sacrificio richiesto, in considerazione non solo delle caratteristiche eccezionali e contingenti di quell’interesse economico di ordine generale che (solo) potrebbe giustificare il taglio di trattamenti in essere, ma anche il necessario bilanciamento tra i vari interessi costituzionalmente rilevanti che incisioni di normative dcl genere mettono in gioco. In proposito sarà sufficiente ricordare il seguente significativo passaggio contenuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 173 del 2016, che comunque non ha accolto le questioni sollevate in merito a1 contributo di solidarietà sulle pensioni più alte di cui al comma 486 della legge n. 147 del 2013: “Anche in un contesto siffatto, un contributo sulle pensioni costituisce, però, una misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza”.
Ora, posto che come ha affermato il Collegio d’appello della Camera con sentenza n. 3 del 2018 — affermazione che questa Commissione contenziosa senz’altro condivide — è «in linea di principio legittimo, e di per sé non necessariamente irragionevole, che il “legislatore” interno della Camera possa pervenire a modificazioni dei rapporti di durata anche sfavorevoli per il destinatario, finalizzate a1 conseguimento di un fine di pubblico interesse», resta che la deliberazione n. 6 del 2018 del Consiglio di Presidenza del Senato della Repubblica risulta esorbitare i limiti fissati dalla giurisprudenza costituzionale in ordine alla ragionevole incisione sui diritti in essere, senza eccessivi sacrifici imposti a posizioni soggettive di rilievo costituzionale, nonché alla proporzione dei tagli prodotti rispetto al bene pubblico perseguito.
Anzi, deve riconoscersi che la deliberazione de qua si discosta sensibilmente dai paradigmi costituzionali in materia di certezza dcl diritto, legalità, eguaglianza, solidarietà, laddove viene a toccare, retroattivamente, i criteri di calcolo in base ai quali fu a suo tempo determinato, per ciascun parlamentare, il quantum della prestazione dovuta. A ben vedere, infatti, il provvedimento incide sull’atto genetico costitutivo del diritto al vitalizio e non sul rapporto in essere, perché non interviene per giustificate esigenze a limitarne l’importo, ma modifica gli atti con cui di volta in volta, per i singoli parlamentari, furono predisposti i provvedimenti di liquidazione.
In sostanza la deliberazione n. 6 dispose, con effetti retr0attivi, una nuova determinazione dell’importo dovuto a ciascun ex parlamentare a titolo di vitalizio, incidendo su un diritto soggettivo perfetto, qual è quello derivante dal provvedimento di liquidazione a suo tempo prodotto. Si tratta peraltro di effetti che contrastano col Regolamento delle pensioni dei senatori, approvato dal Consiglio di Presidenza del Senato con deliberazione del 31 gennaio 2012 n. 113, che al primo comma dell’articolo 4 dispone: “Per i senatori in carica alla data del lᵉ gennaio 2012, nonché per i parlamentari che abbiano esercitato il mandato precedentemente a tale data e che siano successivamente rieletti, il trattamento previdenziale ć determinato dalla somma dell’assegno vitalizio definitivamente maturato alla data del 31 dicembre 2011, secondo il Regolamento in vigore al momento di inizio del mandato, e della pensione calcolata con il sistema contributivo con riferimento agli ulteriori anni di mandato parlamentare esercitato”. All’articolo Iłl dełle
Disposizioni transitorie e finali di detto Regolamento è poi precisato che "A richiesta del senatore interessato, i senatori Questori rilasciano idonea certificazione attestante quanto definitivamente [corsivo redazionale] maturato in ordine all’assegno vitalizio”.
Si tratta di disposizioni che riflettono il passaggio dal vecchio regime dci vitalizi, soppressi dalla legge, al nuovo regime pensionistico basato sul sistema contributivo c dalle quali si desume chiaramente la preoccupazione di evitare la rimozione dei provvedimenti di liquidazione a suo tempo legittimamente adottati e, quindi, di intaccare “quanto definitivamente maturato”.
Con il citato Regolamento delle pensioni dei senatori, cioè, si è introdotta una disciplina analoga a quella introdotta per tutti i cittadini nel passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, ferma restando la possibilità di interventi riduttivi finalizzati al conseguimento di un fine di pubblico interesse.
Gli effetti distorsivi della impugnata deliberazione sono ancora più evidenti nei confronti dei vitalizi maturati nel corso della più risalente stagione, nella quale 1’istituto in esame era sostanzialmente paradigmato sul modello mutualistico di diritto privato. Perché in questo caso si viene ad incidere non sul regime pubblicistico in cui si è successivamente trasformato l’istituto stesso, ma — almeno in parte — su ciò che è stato oggetto di libera negoziazione privata tra ex parlamentari e l’Amministrazione del Senato. " (...)
Sentenza 660/2020, testo integrale: