Il dissesto dell’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani (INPGI) e il salvataggio delle pensioni erogate tramite l’assorbimento nell’Inps, ipotizzato dalla legge di bilancio varata dal governo, solleva interrogativi tanto sul diverso trattamento riservato agli ex parlamentari quanto sul doppiopesismo con cui questioni simili sono state trattate su giornali e radio-tv da eminenti giornalisti. In proposito, pubblichiamo una nota-commento di Dario Rivolta (nella foto), membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione degli ex-parlamentari:
Giornalisti: un conto è predicare, un altro è razzolare...
di Dario Rivolta
Molti e benemeriti colleghi giornalisti hanno versato grandi quantità del loro inchiostro e fiumi di parole anche in TV per esprimere l’indignazione verso banche male gestite, fallite e tuttavia salvate con i soldi di noi contribuenti. I loro strali hanno colpito, volta per volta, amministratori che si sono dimostrati incapaci ma poi liquidati con stratosferici compensi (vedi Alitalia), detentori di pensioni da nababbi e privilegiati di vario genere. Sempre ricordando come i relativi costi finissero a carico degli inconsapevoli contribuenti.
Adesso che la loro cassa pensionistica privata (INPGI) è incamminata verso il fallimento e sarà molto probabilmente assorbita dall’INPS, staremo a vedere se e dove arriverà il loro attenersi a una corretta deontologia professionale. Purtroppo le premesse non sembrano le migliori.
Vediamo un po' come stanno le cose.
La riforma pensionistica per tutti i normali lavoratori parte da quando Dini trasformò l’abituale metodo di calcolo “retributivo” in “contributivo”. Fu deciso allora che chi aveva accumulato almeno diciotto anni di contributi entro il 1995 e maturasse una anzianità al 31 dicembre 2011 avrebbe continuato a percepire la pensione col vecchio sistema (calcolato sulla media degli ultimi cinque anni di salario). Per chi, invece, alla fine del 1995 non li avesse raggiunti, l’ammontare della pensione sarebbe stato corrisposto con il sistema retributivo per gli anni di contributi fino al 1995 e poi sarebbe stato completato con il sistema contributivo. Per tutti, dal 2011 i calcoli sarebbero stati fatti solo partendo dall’ammontare dei contributi.
Esistono però due eccezioni.
La prima riguarda gli ex Parlamentari. Per costoro, e soltanto per costoro, le Camere hanno deciso che chiunque, anche chi già percepiva un vitalizio da molti anni, si sarebbero calcolati i contributi versati e il nuovo ammontare sarebbe corrisposto a quel montante. Il tutto applicato in modo retroattivo, indipendentemente da ogni considerazione del Diritto! Considerato chi aveva finito il mandato anche decenni prima e ha oggi magari 80 anni o più, abbiamo visto riduzioni di vitalizi che, in alcuni casi, sono arrivati anche all’ottanta percento in meno di quanto percepivano. Se pensiamo che per chi ha fatto moltissime legislature (qualcuno anche 10 o più) esisteva comunque un massimo di circa 7000 euro lordi mensili (limite massimo confermato anche con il nuovo metodo, indipendentemente dai contributi versati), immaginiamo cosa sta ricevendo chi aveva alle spalle solo una o due legislature finite, ad esempio, negli anni ’80. Comunque, visto che qualcuno è arrivato persino a pensare che il Parlamento sia inutile… (altre soluzioni?): peggio per loro!
La seconda eccezione riguarda i giornalisti.
Per le contribuzioni acquisite da loro fino al 31/12/2016 si è continuato ad applicare il solo sistema di calcolo retributivo. Per le contribuzioni riferite ai periodi successivi al 1/01/2017, la pensione sarà calcolata con il sistema di calcolo contributivo di cui alla legge n. 335/1995 (sistema misto). In altre parole: un lavoratore qualunque è diventato oggetto di calcolo contributivo (totale o misto) a partire dal primo gennaio 2012 mentre un giornalista ha potuto andare in pensione fino al gennaio 2017 percependo un compenso sempre e soltanto parametrato agli stipendi precedenti, indipendentemente da quanti contributi avesse versato. Come mai questa diversità non è stata oggetto degli stessi attacchi indignati che hanno giustamente colpito banchieri, pensionati super ricchi e parlamentari?
Veniamo ad oggi.
La crisi della carta stampata ha ridotto il numero dei nuovi giornalisti e, spesso, i compensi dei nuovi assunti (e quindi i loro contributi) sono diminuiti. Ciò ha portato il bilancio dell’INPGI a denunciare una perdita di 254 milioni di euro nel 2020 con una previsione di un ulteriore rosso di 225 milioni nel 2021, 221 milioni nel 2022 e 233 milioni nel 2023.
Di fronte a queste cifre che preannunciano la vicina bancarotta, l’Istituto Previdenziale dei giornalisti ha cercato di far di tutto per evitare il commissariamento. Tuttavia, l’unica soluzione per porre rimedio al buco nelle casse e poter continuare a pagare le loro laute pensioni sarà quella di far confluire l’INPGI nell’INPS e addebitare il deficit alle casse dello Stato. Esattamente come già fatto con le banche che avevano suscitato la nostra comprensibile indignazione.
Naturalmente, in nome della “libertà di stampa” i privilegi, pensionistici e non, di cui godono i rappresentanti della nostra “opinione pubblica” non dovranno essere toccati. Così almeno si sono espressi i dirigenti dello stesso INPGI (va detto: dirigenti che percepiscono stipendi che arrivano anche a 200.000 euro l’anno). Chi mai oserà contraddirli?
02 novembre 2021