Con un "focus" dedicato alle ragioni del NO al referendum sulla legge costituzionale di riduzione del numero degli eletti di Camera e Senato, è in distribuzione il numero 16-17 (Agosto-Settembre 2020) de "Il Parlamento - ieri, oggi e domani", il Notiziario dell'Associazione degli ex Parlamentari della Repubblica. Apre questo numero l'editoriale del direttore, on. Antonio Duva, componente della Presidenza dell'Associazione, dal titolo "Votare 'NO' al referendum è una scelta per frenare il declino del Parlamento". Qui di seguito pubblichiamo l'editoriale e, in coda, l'intero bollettino in formato elettronico (nella foto Antonio Duva):
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VOTARE “NO” AL REFERENDUM E’ UNA SCELTA PER FRENARE IL DECLINO DEL PARLAMENTO
di Antonio Duva
Dopo che, il 12 agosto, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili i quattro ricorsi che erano stati presentati contro alcuni aspetti del referendum confermativo sul taglio dei Parlamentari, nulla sembra più ostacolare la celebrazione il 20 e 21 settembre dell’election day voluto dal Governo. Le ordinanze della Consulta, per la verità, non sembrano destinate a lasciare una grande traccia nella gloriosa tradizione degli studi sul “Giudice delle leggi”. La bocciatura, in particolare, del ricorso presentato dal Comitato promotore del referendum ha destato sconcerto. Come ha osservato il giurista Alfonso Celotto (“la Repubblica”, 13 agosto) l’ordinanza concernente questo atto sembrerebbe infatti aver rovesciato la consolidata giurisprudenza della Corte in materia di legittimazione soggettiva al ricorso. In ogni caso dichiarare che il ricorrente non avesse titolo a esercitare "una funzione generale di tutela del miglior esercizio del diritto di voto da parte dell'intero corpo elettorale", come sostiene la Corte, non significa di sicuro negare che questa esigenza vi sia e sia più che legittima. E le ordinanze depositate in merito non possono certo essere considerate (come da qualche parte si è cercato grossolanamente di adombrare) alla stregua di una preventiva bocciatura delle ragioni di merito di quanti si oppongono alla sconsiderata legge che l'8 ottobre 2019 ha disposto la riduzione del numero dei parlamentari. Al contrario la partita su questa scelta, resta del tutto aperta; la parola spetta agli elettori e una simile sfida merita di essere - pur in condizioni di campo assai difficili - portata avanti con la massima energia. L'Associazione degli ex Parlamentari ha scelto, sin dall'autunno dello scorso anno, una posizione nettamente negativa verso la norma che, al di fuori di una organica visione riformatrice, dispone una rilevantissima riduzione del numero dei membri del Parlamento.
I motivi alla base dell'orientamento degli ex Parlamentari sono stati ribaditi in vari documenti approvati dagli organi sociali, tempestivamente diffusi dal nostro sito e da questo periodico. Anche nelle pagine di questo numero de "Il Parlamento" se ne dà ampiamente conto, in particolare grazie a una analisi di Enzo Palumbo che approfondisce, con competenza giuridica e sensibilità politica, i vari aspetti della questione.
Quando affermammo che, nei termini previsti dalla legge ora sottoposta a referendum, il "taglio" dei parlamentari si sarebbe fatalmente tradotto in un taglio alla democrazia (e avrebbe messo a rischio molti equilibri dell'assetto istituzionale), la voce degli ex Parlamentari risuonò in sostanziale solitudine.
Urgenza di affrontare le questioni contingenti, pigrizia intellettuale, opportunismo, o la speranza, incautamente coltivata da molti, che lo scomodo problema sarebbe finito su un binario morto, contribuirono a farne costantemente rinviare un serio esame da parte dei vertici politici. Ma chi si cullava nell'uno e nell'altro di questi calcoli illusori non aveva correttamente valutato due fattori, in contrasto fra loro, ma entrambi dotati di una portata dirompente. In primo luogo che l'iter del provvedimento di modifica costituzionale sarebbe riuscito a completare tutte le tappe del suo lungo cammino grazie, paradossalmente, al mutamento dello scenario politico avvenuto nell'estate scorsa. La nascita del Governo Conte 2 ha fornito infatti al più tenace fautore della riduzione del Parlamento (il Movimento 5 Stelle) un'imprevista arma di pressione contro il più consistente gruppo che si era, sino allora, schierato contro il provvedimento. Il Partito Democratico, dopo aver votato per tre volte "no", ha perciò finito, con l'alibi di un compromesso che non era difficile prevedere si sarebbe rivelato di carta velina, per passare al "sì" nella quarta, decisiva votazione.
Secondo aspetto importante: l'infittirsi delle critiche degli studiosi contro una legge che, a un esame attento, mostra gravi contraddizioni e rischi di costituzionalità. Tutto questo mentre al tempo stesso andavano intensificandosi i segnali di allarme lanciati da esponenti politici di un ampio settore dell'arco parlamentare nei confronti di un taglio da molti considerato insensato.
La manifestazione più concreta di questo crescente disagio è stata la costituzione del Comitato di parlamentari che ha promosso la celebrazione del referendum al quale si è affiancato un Comitato per il No di cittadini che, malgrado l'imperversare in questi mesi della pandemia, ha rapidamente raccolto oltre 10mila adesioni.
La convinzione che il taglio dei Parlamentari non solo non sarebbe stato il rimedio giusto per far funzionare meglio il sistema democratico ma avrebbe potuto renderne più incerte le prospettive è diventata così sempre più diffusa.
Fu tra i primi, fra i parlamentari in carica, Luigi Zanda, per anni alla guida del Pd a Palazzo Madama, a denunciare, parlando in aula, "il vistoso declino del Parlamento".
Gli ha fatto eco, con l'autorevolezza di ex Presidente della Camera, Luciano Violante ("la Repubblica, 28 giugno) quando ha stigmatizzato: "un processo di deparlamentarizzazione del sistema politico in corso da 25 anni" ed ha segnalato due rischi: lo svuotamento della rappresentanza politica della nazione e il profilarsi di tendenza autoritarie nel sistema politico. Ridurre drasticamente il numero dei parlamentari, al di fuori di un contesto di coerenti riforme che tutelino efficienza ed efficacia dei procedimenti decisionali non appare, peraltro, un rimedio valido. Costituisce, piuttosto, un'aggravante.
Dopo di allora l'elenco dei parlamentari, in carica e no, contrari non tanto alla riduzione in via di principio, ma a quella prevista con le specifiche modalità dalla legge 8 ottobre 2019, si è costantemente ingrossato: Massimo Villone, Tommaso Nannicini (fra i più attivi nella raccolta delle firme in Senato per far scattare il referendum), Luigi Manconi, Andrea Romano, Roberto Giachetti, Carlo Smuraglia, Roberto Rampi, Giorgio Mulè, Alfonso Gianni e molti altri. A questi si sono aggiunte personalità della società civile nè è mancato l'impegno dell'Anpi e di settori del sindacato.
Tutto questo basterà ? Difficile dirlo. Nell'opinione pubblica soffia un vento di irrazionale avversione al Parlamento - reso più impetuoso anche dall'esplodere, forse non casuale nell'imminenza del voto, di vicende, di certo indegne (come il bonus ai politici) ma artificiosamente dilatate - che sconsiglia l'ottimismo. Resta comunque cruciale che si vada alle urne e che emerga una massa rilevante di "no". Questo è necessario per imporre, al di là dell'esito del referendum, che ad esso segua la rapida realizzazione di quei provvedimenti di riequilibrio e di tutela delle minoranze (regolamenti delle Camere da rinnovare, legame tra elettori ed eletti da rendere più stretto) in parte già previsti nell'intesa di governo e comunque utili per il buon funzionamento delle istituzioni parlamentari. E unito a tutto ciò il varo di una decente legge elettorale.
Altrimenti la legge sottoposta a referendum, ove confermata, produrrà effetti devastanti sul sistema istituzionale. Ce lo dicono giuristi di vaglia come Sabino Cassese ("il taglio comporterà un'evoluzione in senso oligarchico del sistema parlamentare"), come Giuseppe Tesauro ("il taglio è sbagliato"; fra gli altri esiti avrà quello di: "concentrare la scelta dei candidati quasi esclusivamente nella nomina dei vertici dei partiti") e come tanti altri studiosi altrettanto autorevoli.
Le forze democratiche che, sottovalutandone i rischi, hanno approvato la legge che li potrebbe generare, si sono perciò assunte una responsabilità davvero grande. Beninteso c'è chi la pensa diversamente. Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato del Pd, si è, per esempio, distinto in una arrampicata dialettica di sesto grado (Il Foglio, 13 agosto) nell'intento di sostenere che, dopo tre "no", sarebbe perfettamente coerente votare "sì" al prossimo referendum. Un'impresa davvero ardita che conferma quanto fosse fondata l'avversione di Socrate per i sofisti.
Il grande pensatore ateniese, com'è noto, perse per 30 voti il processo nel quale era stato trascinato e fu messo a morte. Ma 25 secoli dopo le idee di Socrate continuano ad appassionare schiere di giovani e di vecchi, mentre dei suoi accusatori si è persa la memoria.
Il Parlamento n. 16 - formato elettronico