La commemorazione dei defunti. Perchè li nominiamo uno per uno

La commemorazione dei defunti. Perchè li nominiamo uno per uno

La commemorazione dei defunti. Perchè li nominiamo uno per uno

Mercoledì 13 novembre, nel mese dedicato ai defunti, abbiamo rispettato la tradizione di ritrovarci nella Chiesa di San Gregorio Nazianzeno in Palazzo Valdina per la celebrazione della Santa Messa.

Abbiamo commemorato i nostri fratelli e sorelle scomparsi in questo anno unendo i sentimenti di affetto ai nostri cari familiari.

Quest'anno è stato letto un elenco infinito di nomi, ben 67.

Il nostro pensiero è andato a questi colleghi e amici che ci hanno lasciato a volte nel silenzio e nella discrezione pur avendo svolto un ruolo significativo nelle Istituzioni. Ciascuno di loro aveva una storia.

Il Rettore di San Gregorio Nazianzeno, Don Francesco Pesce, sempre a noi particolarmente vicino ci ha regalato una splendida Omelia che merita di essere condivisa e diffusa verso quanti non hanno potuto partecipare alla celebrazione. Don Francesco ci offre sempre parole di grande sensibilità e meditazione.

Queste sono le parole che ho cercato di raccogliere tanto erano profonde.

"In questo tornare indietro siamo qua per fare una memoria grata per quelli che non ci sono più. Novembre è il mese dei morti, non della morte.

Il mese di novembre ci educa a fare memoria e ci chiede di ripercorrere la nostra vita a partire dalle emozioni e dagli affetti, a partire da coloro che non ci sono più, ci sono stati e soprattutto ci sono stati per noi.

Allora anche la nostalgia che nasce dalla loro assenza ci ricorda che ci sono stati, che hanno fatto parte della nostra vita. Siamo tutti consapevoli che forse un giorno non andremo più a trovare i nostri morti nei cimiteri. Tutto sta cambiando anche il modo di vivere la morte. Allora forse dovremo fare della "memoria" il vero luogo di culto dei nostri morti.

La "memoria" per noi cristiani non è soltanto ricordo, ma è un atto spirituale.

La "memoria" diventa addirittura memoriale.

Allora è un atto spirituale, non solo un ricordo.

C’ è un piccolissimo libro di un grandissimo teologo tedesco che tutti conoscete, Karl Rahner. I libri belli non si trovano mai più. Aveva fatto piccole meditazioni sui tempi liturgici. Una aveva un titolo che mi ha colpito. Si intitolava "Dio dei miei morti" perché i tuoi morti, i nostri morti continuano a parlarci e ci raccontano del Signore, del Risorto, del Signore amante della vita.

Vorrei farvi notare una cosa. Non è scontato sapere che i morti non sono dei numeri. Questo elenco che leggeremo tra poco non è un elenco dei numeri, ma a volte per fare notizia, magari anche in materia legittima, i morti si contano, si dice: oggi in Ucraina sono morti 50 soldati, in Sudan sono morti 10.000 profughi, in Palestina sono morti 300 civili, in quell’incidente stradale 5 ragazzi sono morti. I numeri fanno impressione. E quindi anche i morti si contano. Si parla dei morti a partire dalla quantità a partire dal numero, però questo non basta per raccontarci una storia, perché vedete i morti si possono contare, ma gli amici e i familiari si nominano, non si contano. Si nominano uno per uno. E per ciascuno di loro c’è un ricordo, c’è forse anche uno strazio, c’ è un sentimento, c’è una preghiera. Così anche quando andiamo al cimitero. Quanti morti sono sepolti, quanti numeri, eppure ciascuno di noi va al cimitero non per contare i morti, ma proprio per quella tomba lì, proprio per quel nome lì, dove è sepolta una storia d’amore, dove è sepolta una gratitudine, dove c'è un ricordo di affetti intramontabili,

Ecco i morti si contano, ma le persone vive o morte si chiamano per nome. Questo fa Dio con Noi. Vi ricordate Giobbe che dopo la sua vita complicata e tormentata ha mantenuto la fede e sentite come conclude la sua esperienza con parole che tutti voi conoscete. IO vedrò Dio, Io lo vedrò, io stesso i miei occhi lo contempleranno, non quelli di un altro. Ecco il giudizio di Dio non sarà sull'umanità in generale, ma sarà su ogni singola persona. IO, su ogni singola storia, sarò io a presentarmi al cospetto di Dio. Non è un amore generico che riguarda tutti; è un amore personale che riguarda ciascuno. Questo fatto è molto importante. Mi permetto di fare un piccolo commento. Vedete gli altri sanno poco di me forse non ne sanno neanche niente, forse hanno saputo quello che hanno scritto i giornali, o forse hanno saputo quello che quel tal giudice ha sancito di me, ma in fondo non ne sanno niente, mi confondono con la moltitudine, mi contano come un numero; è stato un parlamentare, ma come ce ne sono stati tanti. Dio non fa così. Dio mi abbraccia come un figlio unico. Questo fatto qui ha delle conseguenze. Ne voglio sottolineare una. Allora io posso avere stima di me. Allora ognuno di noi può avere stima dei defunti che oggi ricordiamo perché Dio Padre ha pronunciato il loro nome e pronuncia il nostro nome. Gli altri mi possono classificare in base ai risultati, in base ai successi, ai fallimenti, alle appartenenze, magari alle sentenze, facendo quella damnatio storica inaccettabile, ma invece il mio nome è pronunciato da Dio padre, e allora coloro che sono morti, non sono morti, ma diventano come Gesù, figli unici. Questo è il grande mistero del cristianesimo. Infatti mi permetto di ricordare che la Chiesa non parla della vita eterna come di una vita che viene dopo. Non parla di un lieto fine, di una gioia tenuta come riserva: adesso devi soffrire poi di là sarai nella gioia. È più profondo. Noi parliamo come Chiesa di una promessa che cambia già questa vita. Parliamo di una gioia, di una grazia presente. Noi la storia non la possiamo cambiare, ma la possiamo trasfigurare, la possiamo leggere con altri occhi. Non con gli occhi della stampa, non con gli occhi della Magistratura, non con gli occhi della Politica, la possiamo leggere con gli occhi del Signore. Noi non crediamo a un futuro misterioso. Crediamo ad una grazia presente. Questa è la vita eterna - dice Gesù - e riconosco te unico vero Dio che mi ha mandato. Mi permetto di concludere con un domanda che ci facciamo tutti espressa in tanti modi.

Che cosa vuole Dio dalla mia vita, che cosa ha voluto dai vostri colleghi, dai vostri amici. Quale è la sua volontà. La volontà di Dio su di me, su di Noi, su di loro, è una espressione spesso fraintesa, molto spesso distorta, in una inaccettabile identificazione pagana come se la volontà di Dio fosse un destino spietato. Questo è paganesimo puro. Ce lo dice Gesù cosa è la volontà di Dio. In uno dei suoi discorsi più scandalosi e anche più contestati, Lui ha rivelato cosa è la volontà di Dio, cito il Vangelo di Giovanni al capitolo 6. Sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato, e questa è la volontà di colui che mi ha mandato che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma che lo resusciti nell’ultimo giorno. Poi lo ripete. Questa è infatti la volontà del Padre mio che chiunque vede il figlio e crede in lui abbia la vita eterna e io lo resusciterò nell'ultimo giorno. Questa è la volontà di Dio. Che io non perda nessun nome, che lo resusciti nell’ultimo giorno. Ricordate come si conclude la Bibbia, nel meraviglioso libro dell’Apocalisse: “asciugherà ogni lacrima dei loro volti”. Questa è la nostra fede. Neppure una lacrima sarà senza consolazione . Questa non è una ideologia culturale, questa è la parola di Dio.

Non è stata solo una commemorazione religiosa, ma anche un profondo momento culturale.

Maurizio Eufemi

 

Roma 13 novembre 2024

Chiesa di San Gregorio Nazianzeno, Palazzo Valdina

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