La relazione del Presidente Falomi all'assemblea annuale del 20 dicembre 2021

La relazione del Presidente Falomi all’assemblea annuale del 20 dicembre 2021

Pubblichiamo di seguito la relazione del Presidente Antonello Falomi all'assemblea annuale del 20 dicembre 2021

"Il nostro grido di allarme per il precario stato di salute del Parlamento"

 

Care colleghe e cari colleghi

Un grazie, innanzitutto, per aver scelto di partecipare, chi in presenza e chi da remoto, alla nostra Assemblea generale, nonostante i nuovi sviluppi della pandemia e nonostante la data piuttosto ritardata rispetto ai nostri tradizionali appuntamenti.

Il persistere, anche se in termini meno gravi dell’anno scorso, del contagio da Covid, ha reso più laboriosa e complessa la ricerca della sede nella quale tenere la nostra Assemblea.

La disponibilità di sale di Camera e Senato si è molto ridotta e la procedura per ottenerle si è fatta più tortuosa.

A pagamento, avremmo potuto anticipare di qualche giorno la data di questo nostro incontro.

Ma abbiamo preferito, anche questa volta, utilizzare le sale disponibili di Camera e Senato, non tanto per la loro gratuità, ma per ribadire il legame stretto della nostra Associazione con le istituzioni parlamentari.

Oggi cominciamo questa nostra Assemblea con una buona notizia.

Come, immagino, certamente saprete, il Consiglio di Giurisdizione, l’organo giudiziario di primo grado della Camera dei deputati ha deciso, di cancellare dalla deliberazione del luglio 2018 dell’Ufficio di Presidenza la norma che calcolava l’ammontare del nuovo vitalizio sulla base dell’età anagrafica al momento del percepimento del vitalizio anziché al primo gennaio del 2019, data di entrata in vigore della delibera.

È stata cancellata una delle storture più clamorose che hanno caratterizzato la decisione di ricalcolare retroattivamente con un sedicente metodo contributivo i vitalizi degli ex parlamentari e i connessi assegni di reversibilità.

Una stortura denunciata con forza da tutti gli esperti di diritto previdenziale e di calcolo attuariale auditi dal Parlamento prima che la delibera venisse approvata, per la sua irrazionalità, illogicità, assurdità e iniquità.

Non c’è niente di più assurdo, infatti, di attribuire retroattivamente a una persona che al momento di entrata in vigore della Delibera aveva, per esempio, 70 anni, la stessa aspettativa di vita di quando aveva 55 anni.

Siamo arrivati a casi limite di ex-parlamentari di 95 anni a cui, per giustificare un taglio pesantissimo del vitalizio, è stata attribuita la aspettativa di vita che aveva a 50 anni.

Non a caso i più danneggiati dalla delibera Fico-Boeri sono stati gli ex-parlamentari più anziani che avevano cessato il loro mandato in legislature lontane nel tempo che, a parità di legislature con altri colleghi, hanno subito tagli più pesanti di quelli andati in pensione dopo il 1993.

Oggi questa grave ed evidente stortura è stata cancellata dai giudici di primo grado dell’autodichia.

Lo si poteva fare molto prima.

Come ha opportunamente ricordato in un comunicato l’on. Alberto Losacco, Presidente del Consiglio di giurisdizione della Camera, l’originario intendimento dell’Ufficio di Presidenza, anche su proposta degli Uffici, era proprio quello di evitare una norma così assurda.

Ma bastò, allora, qualche articolo di giornale che gridò al “topolino partorito dalla montagna”, per far cambiare idea alla Presidenza della Camera.

Furono del tutto ignorate nostre proposte emendative sulla questione dell’età per riportare a un minimo di razionalità e di proporzionalità il provvedimento dell’Ufficio di Presidenza.

Prevalse, invece, una logica di propaganda che non ha portato alcuna fortuna elettorale a chi se n’è fatto promotore ma che ha portato molti danni alla libertà e autonomia della funzione parlamentare e alla immagine del Parlamento.

Come sapete, Il Presidente della Camera, On. Roberto Fico, dando un implicito avallo alla decisione del Consiglio di giurisdizione, ha sottolineato che la sentenza ha confermato l’impianto stabilito dalla delibera del 2018.

Se vogliamo essere precisi possiamo dire che l’impianto della applicazione retroattiva del metodo contributivo non è stato né smentito né confermato.

La sentenza ha semplicemente rinviato il giudizio di costituzionalità su questo punto a un ulteriore approfondimento.

La questione, cioè, rimane del tutto aperta e noi confidiamo che le nostre ragioni, magari grazie a un clima generale diverso, siano accolte.

Ovviamente dobbiamo sapere che la sentenza parziale del Consiglio di giurisdizione non chiude ancora la partita dell’età anagrafica.

Esiste la possibilità da parte del Presidente della Camera di impugnare in secondo grado la sentenza e di chiederne contestualmente la sospensiva.

Alla luce della dichiarazione del Presidente Fico, mi aspetto, che questo non accada e che, a differenza di quello che è successo in passato, non ci si faccia, oggi, influenzare da qualche articolo di stampa o dalla solita compagnia di giro dei soliti conduttori di talk show.

Anche perché il tono e l’attenzione dei media è molto cambiato rispetto agli ultimi anni.

Pochissimi giornali, cinque per la precisione, hanno dato notizia in modo molto stringato e obbiettivo, della sentenza.

Soltanto il Fatto quotidiano continua a insistere nei soliti toni parlando di “regalo di Natale” fatto agli ex-parlamentari, di riforma “impallinata”, incitando la Presidenza della Camera a impugnare la sentenza e a chiederne la sospensiva.

Evidentemente, il suo Direttore Marco Travaglio si è dimenticato che soltanto pochi mesi fa è stato tra i primi firmatari di un appello al Presidente della Repubblica nel quale, in presenza di ipotesi di interventi retroattivi sulle pensioni dei giornalisti, si chiedevano soluzioni eque e non punitive, e si paventava il pericolo di “avere giornalisti meno indipendenti e in generale una informazione meno libera” in contrasto con l’art. 21 della Costituzione.

Perché mai il Direttore del Fatto quotidiano non riesce a capire che le garanzie costituzionali che invoca a tutela della libertà e dell’indipendenza dei giornalisti debbano valere, a maggior ragione, per la tutela dell’autonomia e della libertà della funzione parlamentare?

Noi, comunque, siamo pazienti e continueremo con il nostro lavoro e le nostre iniziative perché anche Travaglio cambi posizione e abbandoni i toni propagandistici e antiparlamentari con i quali racconta la vita parlamentare.

Sapete, cari colleghi e care colleghe, che anche l’organo giudiziario di secondo grado del Senato di trova di fronte a una scelta importante.

Domani, la Commissione di garanzia dovrà decidere sul ricorso fatto dal Senato contro la sentenza di primo grado della Commissione contenziosa che ha deliberato sulla illegittimità della applicazione retroattiva del metodo contributivo ai trattamenti previdenziali degli ex-senatori.

L’augurio che ci facciamo e che facciamo ai giudici è quello di decidere finalmente e di trovare il giusto equilibrio tra la ragionevolezza delle soluzioni e il rispetto dei principi costituzionali.

Negli ultimi mesi sembrava essersi creato una sorta di blocco della decisione.

Insieme al collega Peppino Gargani che ringrazio particolarmente per il prezioso contributo che ha dato, abbiamo sviluppato un intenso e paziente lavoro politico per rimuovere questo blocco e per arrivare a una soluzione ragionevole di questa ormai troppo lunga vertenza.

La decisione del Consiglio di giurisdizione della Camera è solo un passo nella giusta direzione.

Speriamo che dal Senato possa esserci un nuovo e ulteriore passo.

In questa sede voglio ringraziare gli avvocati per la scienza giuridica che hanno messo al servizio degli oltre 2.100 ex-parlamentari o titolari di assegni di reversibilità che hanno scelto di presentare ricorso e per il continuo scambio di idee con l’Associazione.

Voglio ringraziare anche per il supporto che tanti soci hanno dato all’azione della Presidenza e del Consiglio direttivo in questa difficile e complessa fase dell’Associazione. Un sostegno che speriamo di continuare a meritare di fronte alle scadenze che ci attendono.

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Care colleghe e cari colleghi, I risultati fin qui ottenuti e che speriamo di consolidare, non devono mai farci dimenticare le ragioni di fondo per quali abbiamo combattuto e combattiamo la battaglia dei vitalizi.

Per noi questa battaglia non è mai stata una battaglia di categoria, una lotta sindacale.

Nel taglio selvaggio e indiscriminato dei vitalizi, noi abbiamo sempre visto, fin dall’inizio, un inaccettabile tentativo di cancellare non solo una storia parlamentare vissuta, chi dalla maggioranza chi dall’opposizione, da ognuno di noi, una storia che ha contribuito a far grande il nostro Paese.

Noi vi abbiamo soprattutto visto uno dei molteplici fronti su cui da tempo si sta sviluppando nel nostro Paese un processo di delegittimazione del Parlamento e della attività parlamentare.

Per una Associazione come la nostra la forza, il vigore della democrazia parlamentare costituisce  la ragion d’essere, l’identità, l’ispirazione programmatica che deve muovere tutta la nostra azione.

Non solo perché ci unisce una comune esperienza di attività svolta nelle aule parlamentari, ma perché in noi è profonda la convinzione che la sovranità popolare si può esprimere in tutta la sua potenza quando le istituzioni rappresentative che le danno forma sono forti.

La democrazia è forte quando il Parlamento è forte.

È questa nostra convinzione che ci porta, oggi, a lanciare un grido di allarme sul precario stato di salute delle istituzioni i parlamentari.

Il Parlamento è vittima di un processo di delegittimazione alimentato da pulsioni populiste e da spinte tecnocratiche che convergono nell’obbiettivo di ridimensionarne il ruolo e la centralità, di colpirne autonomia e libertà.

Noi guardiamo con sgomento alla debolezza e alla inconsistenza delle reazioni di fronte a questo processo di delegittimazione.

Ci preoccupa molto il modo con cui, attraverso i media, si rappresenta all’opinione pubblica la vita e l’attività del Parlamento.

Ai cittadini si racconta spesso di aule vuote mentre si discutono temi di grande interesse come se sui banchi parlamentari sedessero dei nullafacenti dediti soltanto alla cura dei propri interessi.

È successo qualche giorno fa sul tema dell’eutanasia: è bastata una foto dell’aula vuota per gridare allo scandalo e per trovare su grandi giornali di informazione titoloni  sul “Parlamento inutile” o sul “Parlamento irresponsabile”.

Quasi nessuno racconta ai cittadini come è organizzato il lavoro parlamentare. I cittadini non sanno che la discussione e il confronto avvengono nelle Commissioni parlamentari di merito, che il lunedì pomeriggio è dedicato alla discussione generale in Aula; che a questa discussione prendono parte di norma i relatori dei provvedimenti e gli esponenti dei gruppi parlamentari che se ne sono occupati in Commissione; che la discussione che coinvolge l’intero Parlamento avviene quando si discutono e si approvano emendamenti, ordini del giorno e nelle votazioni finali.

Nessuno racconta ai cittadini che fare il Parlamentare non comporta soltanto il lavoro d’aula.

Per contrastare il cattivo giornalismo sarebbe sufficiente la voce forte dei vertici delle istituzioni parlamentari, ma è una voce che raramente si sente e se si sente è molto flebile.

C’è voluta la domanda di un giornalista durante il tradizionale incontro con la stampa, per far dire al Presidente della Camera che bisogna finirla con la “retorica dell’aula vuota”.

Una battuta apprezzabile, sottolineata positivamente in aula dal deputato Baldelli e dalla deputata Boldrini.  ma che, a differenza di quella sull’aula vuota, non ha fatto nessuna notizia.

La delegittimazione del Parlamento non cammina. Però, soltanto sulle gambe della disinformazione e della manipolazione mediatica.

C’è una responsabilità delle forze politiche quando scaricano le loro difficoltà di rapporto con la società sulle istituzioni.

La crescita ormai a livelli di guardia dell’astensionismo segnala una sconnessione grave nel rapporto tra forze politiche e cittadini, ma attribuire questa sconnessione alla vetustà e all’inefficienza dell’impianto istituzionale disegnato dalla Costituzione è un modo molto pericoloso di nascondere le proprie responsabilità e le proprie insufficienze.

Se nonostante una sentenza della Corte Costituzionale, nonostante la raccolta di oltre un milione di firme per un referendum sul suicidio assistito, la legge è ferma da sette anni, la responsabilità non è del Parlamento e delle sue “aule vuote”, la responsabilità sta nelle scelte e nei comportamenti concreti delle forze politiche.

Con questo non voglio dire che le nostre istituzioni non abbiano bisogno di aggiustamenti, di correzioni e di manutenzione.

Voglio solamente dire che bisogna dare alle forze politiche quel che è delle forze politiche e alle istituzioni quel che è delle istituzioni.

È da troppi anni che si confondono le responsabilità e i danni sono enormi: istituzioni sempre più delegittimate da un lato e dall’altro partiti sempre più distanti dalla società.

È in questa temperie che sono state approvate riforme sulla base di premesse che nel tempo si sono rivelate piuttosto fragili.

In nome della stabilità dei governi e di una maggiore efficienza delle istituzioni parlamentari, sono state pensate e approvate riforme elettorali che nonostante premi di maggioranza più o meno consistenti non hanno prodotto Governi più stabili, né hanno dato vita a coalizioni più coese.

L’unico risultato di quelle riforme è stato la riduzione della rappresentatività politica e territoriale del Parlamento che ha lasciato senza rappresentanza parlamentare quote significative di cittadini e che i cittadini sono stati espropriati del loro diritto a scegliersi i parlamentari mettendo questa scelta nelle mani delle segreterie dei partiti.

Ci si è dimenticati che ci sono state altre stagioni parlamentari, magari contrassegnate da maggiore instabilità di governi ma con un Parlamento più rappresentativo, durante le quali sono state approvate, nel conflitto fisiologico tra maggioranza e opposizione, riforme economiche e sociali di grandissimo rilievo e qualità che hanno assicurato al Paese prosperità e benessere.

Sempre in nome di un Parlamento più efficiente si è fatta una riduzione scriteriata del numero dei parlamentari, figlia più che di un ragionato intento di riassetto istituzionale, di quel diffuso sentimento antipolitico che reclamava la punizione della casta, riducendo di un terzo deputati e senatori considerati nemici del popolo, parassiti e fannulloni.

Una riforma costituzionale fatta senza valutare gli effetti collaterali di una tale riduzione sull’aggravamento delle soglie di accesso alla rappresentanza territoriale e quindi sulla ulteriore perdita di rappresentatività del Parlamento.

Nessuna valutazione preventiva è stata fatta sugli effetti concreti della riduzione dei parlamentari sulla attività legislativa e sul lavoro parlamentare.

Caricare su un numero minore di deputati e senatori una attività pensata per un numero maggiore di parlamentari, peggiorerà probabilmente l’attività legislativa.

Non a caso, oggi, a oltre un anno e mezzo di distanza dalla approvazione definitiva della riforma costituzionale, le giunte per il regolamento di Camera e Senato stanno ancora discutendo su come  adeguare i rispettivi regolamenti e l’unica cosa che sembrano voler fare è quello di dimezzare il numero delle Commissioni parlamentari accorpandone le competenze.

Provate un po' a immaginare cosa questo accorpamento significhi in termini di approfondimento e di velocità di discussione dei provvedimenti legislativi.

È del tutto evidente che la tendenza ad abusare del meccanismo Decreti legge-voto di fiducia subirà una impennata oltre la soglia inaccettabile e incostituzionale a cui siamo arrivati.

L’equilibrio costituzionale tra Parlamento e Governo già pesantemente compromesso, ne sarà ulteriormente stravolto.

Ma forse è proprio questo che forse vogliono quelle tecnocrazie a cui piace comandare senza legittimazione democratica e che per questo mal sopportano l’autonomia della politica e un Parlamento libero.

Sotto questo profilo, è impressionante la rappresentazione mediatica del rapporto Parlamento-Governo.

Da un lato il Governo che si occupa di affrontare e risolvere i problemi degli italiani, dall’altro il teatrino dei partiti che con le loro risse ideologiche e di potere impediscono al Governo di operare.

Si è perfino arrivati ad esaltare il fatto che non conoscere per chi vota un Presidente del Consiglio sia una virtù fondamentale per un Governo degno di questo nome.

Fattività contro inconcludenza, è questa l’immagine che si vuol trasmettere al Paese come se il Parlamento con le sue rappresentanze politiche di maggioranza e di opposizione attraverso le Commissioni parlamentari e le decisioni d’Aula non si occupasse ogni giorno dei problemi degli italiani.

Ma non sono questi gli unici fronti attraverso i quali si alimenta e si persegue il declino del Parlamento.

Non possiamo, a questo proposito, dimenticare che giacciono in Parlamento proposte di riforma costituzionale che mirano non già a rafforzare gli istituti di democrazia diretta previsti dalla nostra Carta costituzionale, ma a contrapporli alla democrazia parlamentare rappresentativa, tagliando fuori dalla mediazione politica partiti e Parlamento, contribuendo ad aumentare i pericoli di una torsione plebiscitaria della nostra democrazia costituzionale.

C’è tutto il fronte delle garanzie poste dalla Costituzione a tutela del libero esercizio della funzione parlamentare.

È solo di qualche giorno fa la polemica scoppiata a seguito della decisione della Giunta per le immunità del Senato che ha proposto si sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Procura di Firenze per avere quest’ultima utilizzato messaggi WhatsApp tra il Sen. Renzi e un imprenditore senza l’autorizzazione del Parlamento.

Non entro, in questa sede, nel merito delle diverse posizioni che si sono manifestate nella Giunta per le immunità: non ne ho la competenza né ho letto le 92.000 pagine depositate presso la Giunta.

Mi colpisce, però, la polemica scoppiata in casa grillina per il voto di astensione del M5S.

La capogruppo del M5S al Senato, Maria Domenica Castellone, ha difeso le tre senatrici grilline che si erano astenute dalle critiche pesanti del Fatto quotidiano, sostenendo che “in quella Giunta sono di fatto dei giudici, la Giunta è un vero e proprio tribunale e i giudici decidono leggendo atti e documenti”.

A stretto giro di Agenzia, il leader del M5S Giuseppe Conte, le ha risposto annunciando un voto contro in Aula il cui senso è chiaro: i giudici devono agire secondo le direttive di partito e non secondo i principi a cui un giudice si deve ispirare.

In questa diatriba interna riemerge un tema, quello del rapporto tra politica e giustizia che abbiamo avuto modo di approfondire con le nostre riflessioni sull’autodichia e sui pericoli che il venir meno dei principi di imparzialità, indipendenza e terzietà dei giudici fa correre alla credibilità e all’autonomia del Parlamento.

La pretesa di piegare istituti parlamentari come quelli delle immunità o della giustizia interna alle logiche della politica, ha come risultato quello, da un lato, di delegittimarli, riducendo gli spazi di autonomia e di libertà del Parlamento e dei parlamentari e dall’altro quello di diffondere una cultura della giurisdizione pericolosa e preoccupante.

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 Per tutte queste ragioni noi dobbiamo imprimere alla nostra azione in difesa della democrazia parlamentare una maggiore intensità, una vera e propria svolta.

Innanzitutto dobbiamo potenziare la nostra capacità di comunicazione e di informazione sulle idee e sulle proposte che abbiamo già discusso o che discuteremo. Mi riferisco alla proposta per un nuovo statuto del parlamentare e a quella di riforma dell’autodichia, di cui abbiamo già a lungo discusso.

A questo proposito dopo una discussione approfondita nel Consiglio direttivo, abbiamo costituito un gruppo di lavoro, presieduto dal collega Barbi e costituito dai colleghi Duva, Facchetti e Calzolaio, che ha già cominciato a lavorare e che riferirà presto il pacchetto delle proposte per migliorare, all’interno e all’esterno dell’Associazione la quantità e la qualità della nostra in formazione e della nostra comunicazione sia sui media tradizionali che su i nuovi media della rete.

Nell’immediato, come sapete, è stato avviato, tramite un questionario inviato a tutti i nostri soci, un censimento sull’uso della rete e dei social da parte degli iscritti.

I primi risultati sono incoraggianti perché fanno emergere una disponibilità significativa ad attivare iniziative social per far arrivare ai cittadini la voce e le opinioni di quanti si propongono di contrastare i processi di declino e di delegittimazione delle nostre istituzioni rappresentative.

Sempre a questo scopo dobbiamo istituire un appuntamento annuale, qualcuno l’ha chiamato provvisoriamente la “giornata dell’orgoglio parlamentare”, che faccia il punto sullo stato di salute della nostra democrazia parlamentare.

Un appuntamento costruito in modo aperto, oltre i confini della nostra Associazione, coinvolgendo il meglio delle forze politiche, dell’intellettualità, della società.

Un appuntamento che riesca a diventare un punto di riferimento importante del dibattito politico.

L’obbiettivo, per l’immediato, è quello di costruire questo appuntamento per il prossimo mese di giugno a Roma.

Concludo qui questa mia introduzione ringraziandovi per l’attenzione e per il contributo che vorrete dare ai nostri lavori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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