LA POSTA IN GIOCO: DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA, NON SOLO VITALIZI
Un saluto e una certezza: la nostra è una buona battaglia
Un grazie, innanzitutto.
A voi che in molti avete scelto di partecipare di persona a questo appuntamento.
Ai tanti che per ragioni familiari o di salute o per impegni di lavoro non hanno potuto, oggi, essere presenti.
Ai tantissimi che in questa difficile fase hanno preso contatto con l’associazione attraverso lettere, telefonate, messaggi.
Agli oltre 132 nuovi iscritti all’Associazione che nell’ultimo anno si sono aggiunti ai 1280 vecchi iscritti.
Voglio ringraziare particolarmente i componenti dell’Ufficio di Presidenza e del Consiglio Direttivo che mi hanno aiutato, con le loro riflessioni, con i loro suggerimenti, in questa difficile e complicata fase.
Un grazie di cuore lo devo all’On. Gargani che ha svolto un prezioso lavoro di supporto giuridico sulle questioni al centro del confronto.
Ringrazio, infine, i giornalisti delle agenzie, della carta stampata e delle TV presenti a questa nostra Assemblea, con la speranza che si chiuda l’era della “gogna mediatica” e si apra finalmente quella di una informazione corretta.
La partecipazione in atto ci conforta e ci stimola a continuare a combattere con determinazione quella che noi sappiamo essere una buona battaglia.
In gioco c’è molto di più dei nostri vitalizi
Siamo, infatti, convinti che in gioco c’è molto di più dei nostri vitalizi.
Fin dall’inizio di questa nuova legislatura, di fronte agli annunciati propositi di riaprire e concludere velocemente, negli Uffici di Presidenza, il capitolo dei vitalizi, abbiamo inviato subito ai nuovi Presidenti delle Camere, ai collegi dei questori, ai nuovi Presidenti di tutti i gruppi parlamentari, la richiesta di incontri per poter esporre sull’argomento il nostro punto di vista.
A tutt’oggi, soltanto i collegi dei Questori di Camera e Senato hanno accolto il nostro invito.
Ovviamente noi insistiamo e insisteremo perché possano esserci incontri anche con i Presidenti delle Camere e con tutti i gruppi parlamentari.
Il nostro pensiero è stato raccolto in diverse note scritte che abbiamo inviato a tutti i nostri interlocutori e che abbiamo reso pubbliche, grazie al lavoro dell’On. Barbi e delle nostre segretarie, attraverso il nostro nuovo sito web che vorrei invitarvi tutti a frequentare.
Sul tappeto del confronto abbiamo messo diverse questioni. Questioni di metodo e questioni di sostanza.
La Costituzione non si può aggirare con delibere dell’Ufficio di Presidenza
Sotto il profilo del metodo abbiamo sollevato la questione dello strumento scelto per intervenire sulla materia del trattamento previdenziale dei parlamentari: legge o delibera degli Uffici di Presidenza.
Abbiamo, innanzitutto, contestato l’idea che si possa giustificare una delibera degli Uffici di Presidenza per evitare il giudizio di illegittimità della Corte Costituzionale.
Una idea balzana, mai smentita da chi avrebbe avuto il dovere istituzionale di smentirla, che rende chiaro che chi pretende di ricalcolare retroattivamente secondo le regole del contributivo vitalizi e pensioni, è consapevole della incostituzionalità dell’operazione.
Se si fosse sinceramente convinti che il ricalcolo retroattivo con metodo contributivo dei vecchi vitalizi sia una misura costituzionalmente corretta, non si capisce perché si ha così tanta paura del giudizio della Corte Costituzionale da tentare ogni strada per aggirarlo.
A meno che, consapevoli delle obiezioni e delle censure di costituzionalità mosse da decine di giuristi e costituzionalisti, non si scommetta sui tempi lunghi necessari per arrivare al giudizio della Corte, per continuare ad agitare propagandisticamente “il taglio dei vitalizi”.
Se questo fosse l’intento, saremmo di fronte ad una gigantesca presa in giro degli italiani a cui verrebbe “venduta” per buona “una merce avariata” da evidenti difetti di costituzionalità.
Ma oltre che balzana, l’idea della delibera per aggirare le sentenze della Corte è anche preoccupante.
È come affermare che gli Uffici di Presidenza sono “legibus soluti”, possano, cioè, agire al si sopra e contro la Carta costituzionale
Se così fosse, l’autonomia che la Costituzione giustamente riconosce al Parlamento, si trasformerebbe in vero e proprio arbitrio.
Comunque si mettano l’anima in pace.
Grazie al supporto di illustri giuristi, di Presidenti emeriti della Corte, di avvocati importanti, abbiamo individuato le strade e gli strumenti per arrivare più velocemente possibile lo stesso all’Alta Corte.
L’Associazione darà supporto logistico e organizzativo perché i ricorsi individuali abbiano forma collettiva.
C’è, a nostro parere, un solo modo per sgombrare il campo da pericoli di arbitrii e da sospetti: utilizzare la legge come strada maestra di intervento sulla materia.
Si obbietta che la materia del trattamento previdenziale dei parlamentari è sempre stata disciplinata attraverso atti deliberativi degli Uffici di Presidenza delle Camere.
Questo è certamente vero ma si è sempre trattato di provvedimenti di riforma per il futuro, mai di misure retroattive che colpiscono diritti soggettivi già maturati.
È proprio il carattere retroattivo delle misure allo studio che impone lo strumento legislativo.
Lo stabilisce con chiarezza l’articolo 23 della Costituzione: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.”
Venendo al merito delle questioni che abbiamo proposto al confronto, su cui, finora nessuno ci ha dato una risposta.
RISPETTO DELLA LEGALITA' COSTITUZIONALE
Prima di tutto poniamo il tema del rispetto della legalità costituzionale.
L’Associazione degli ex-parlamentari della Repubblica ritiene che l’unica forma di intervento retroattivo sui trattamenti previdenziali in essere, ammessa dalla Corte costituzionale con varie sentenze, sia quella del “contributo di solidarietà”, a fini di solidarietà interna al sistema previdenziale, sempre che siano rispettati i principi di legittimo affidamento, di ragionevolezza, di proporzionalità e di non reiterabilità.
Non esiste nessuna legge di modifica della disciplina previdenziale che abbia mai messo in discussione retroattivamente e in modo permanente diritti già maturati dai cittadini.
Infatti, le riforme delle pensioni che si sono susseguite negli anni, da quella “Dini” del 1995 a quella “Fornero” del 2011 hanno tutte fatto salvi i diritti dei cittadini maturati prima della loro entrata in vigore.
Anche i regolamenti vigenti di Camera e Senato in materia previdenziale hanno rispettato questo principio prevedendo l’applicabilità delle nuove norme soltanto a chi è diventato parlamentare dopo il 1° gennaio 2012.
Lo stesso Collegio di Appello della Camera, organo di tutela giurisdizionale attraverso cui si sostanzia l’autodichia, con sentenza n. 2 del 24 febbraio 2014, ha stabilito che proprio per rispetto di detto principio la misura del sistema contributivo introdotto dal regolamento del 2012 è “adottata esclusivamente de futuro”.
Pretendere di farlo solo per gli ex-parlamentari avrebbe soltanto un significato punitivo, di delegittimazione e umiliazione della funzione parlamentare che è libera e indipendente.
L'IMPOSSIBILE EQUIPARAZIONE TRA VITALIZI E PENSIONI
Si tratta di una equiparazione molto in voga nei talk show televisivi, ma che è in netto contrasto con i principi fondamentali fissati dalla nostra Costituzione.
Poniamo questa questione non perché riteniamo che i parlamentari debbano godere di privilegi speciali, ma perché pensiamo che ogni parlamentare, per la funzione che svolge, debba godere di garanzie speciali.
Questo accade in tutti i Paesi del mondo dotati di parlamenti democratici, e accade anche per alcune categorie di cittadini in relazione alle delicate funzioni istituzionali da essi svolte (Presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale, magistrati).
Tra le garanzie che la Costituzione riconosce ai parlamentari vi è quella di permettere, in condizioni di eguaglianza, l’accesso alle cariche elettive anche a coloro che non hanno i mezzi per esercitare i loro mandato (art. 51), quella di consentire loro di svolgere liberamente il loro mandato senza condizioni o vincoli (art.67) e quella di conservare, senza subire discriminazioni, il proprio posto di lavoro durante e dopo lo svolgimento del mandato parlamentare (art. 51).
La fissazione in Costituzione dell’indennità parlamentare sottolinea la speciale funzione che a questo istituto viene assegnata.
Se l’indennità parlamentare fosse considerata alla stregua del corrispettivo di una prestazione di lavoro, non ci sarebbe alcun bisogno di stabilirlo in Costituzione. Basterebbero i contratti di
lavoro.
Come hanno scritto nelle loro sentenze Corte Costituzionale e Corte di Cassazione, l’indennità percepita in relazione ad un mandato pubblico, “nei suoi presupposti e nelle sue finalità ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego” (Sent. n.289/1994 e Ord. N.14929/2016 Corte di Cassazione).
Anche sul trattamento previdenziale dei parlamentari sono state dette nelle sentenze cose altrettanto chiare.
Secondo la Corte, infatti, “l’assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a collegarsi a una indennità di carica goduta in relazione all’esercizio di un mandato pubblico…”
Per questo i vitalizi “non possono essere equiparati alle pensioni ordinarie del pubblico impiego” (Sent.n.289/1994) avendo, come l’indennità parlamentare, presupposti e finalità distinte.
Le differenze tra vitalizi dei parlamentari e pensioni non riguardano, però, soltanto presupposti e finalità dei due istituti.
I parlamentari non sono impiegati pubblici
Anche se nel sistema previdenziale dei parlamentari sono utilizzati alcuni istituti tipici del sistema previdenziale valido per la generalità dei cittadini, permangono, tuttavia, differenze profonde che rendono i due sistemi non assimilabili.
Infatti:
- Non si entra in Parlamento per concorso ma perché si è eletti.
- La durata del mandato parlamentare non è stabilita da un contratto di lavoro ma dalle elezioni politiche che di norma si svolgono ogni cinque anni.
- Nel caso dei vitalizi il loro ammontare decresce in proporzione agli anni di contribuzione.
- Il trattamento previdenziale dei parlamentari, a differenza delle pensioni ordinarie, può essere sospeso o ridotto temporaneamente in tutti i casi di incompatibilità che valgono per i parlamentari in carica.
- L’equilibrio tra contributi versati e assegni previdenziali percepiti è impossibile perché è fisso e stabilito dalla Costituzione il numero di coloro che versano (945 parlamentari), mentre il numero di coloro che percepiscono è sempre superiore e cresce costantemente al variare del tasso di ricambio dei parlamentari deciso dai cittadini con il loro voto.
L'IMPRATICABILITA' TECNICA DEL RICALCOLO CONTRIBUTIVO DEI VITALIZI IN ESSERE
Tra i problemi di merito proposti al confronto con gli Uffici di Presidenza delle Camere, abbiamo sollevato quello della praticabilità tecnica o meglio della impraticabilità dell’uso retroattivo del metodo contributivo.
Tutti i sistemi previdenziali contributivi pubblici o privati, per trasformare i contributi versati in pensione, utilizzano dei numeretti – i coefficienti di trasformazione - che determinano l’ammontare della pensione in base alla previsione di eventi futuri.
Si tratta di eventi legati all’aspettativa di vita, alla probabilità di lasciare, morendo, un nucleo familiare superstite, alla possibilità di seconde nozze del coniuge superstite, alla differenza di età tra coniugi, ecc.…
L’idea di applicare al passato regole che servono a prevedere eventi futuri è profondamente irrazionale e illogica.
Cerco di spiegarmi con l’esempio di un parlamentare che avesse cessato il suo mandato 30 anni fa, all’età di 60 anni.
Usare, ora per allora, il metodo contributivo, significherebbe, oggi che ha 90 anni, attribuirgli la stessa aspettativa di vita di una persona che oggi ha 60 anni.
Una evidente assurdità che gli assegnerebbe almeno altri 22 di vita, che ovviamente auguriamo a tutti i novantenni, però con una pensione molto più ridotta, e questo, ovviamente non lo vogliamo augurare a nessuno.
Ma non è questa l’unica assurdità.
Poiché il metodo di calcolo contributivo è stato introdotto in Italia a partire dal 1° gennaio 1996 è del tutto evidente che per i vitalizi erogati prima di quella data non si può procedere a nessun ricalcolo col metodo contributivo.
Lo stesso si può dire per tutti gli ex-parlamentari che hanno cessato il loro mandato dopo aver compiuto 70 anni. Per chi ha più di 70 anni, infatti, non esistono i coefficienti di trasformazione.
A meno che non si vogliano utilizzare coefficienti di trasformazione del tutto immaginari e privi di qualunque fondamento giuridico.
FARE I CONTI SENZA L'OSTE
La terza questione di merito proposta nella documentazione che abbiamo inviato agli Uffici di Presidenza delle Camere, riguarda le conseguenze finanziarie dell’idea allineare i parlamentari al trattamento previdenziale dei dipendenti dello Stato.
L’allineamento dei trattamenti previdenziali dei parlamentari a quelli del pubblico impiego, infatti, comporta l’applicazione, con i relativi oneri finanziari, di tutti gli istituti normativi in vigore per i dipendenti statali (il sistema pro-rata previsto dalla legge Dini, il riconoscimento del servizio militare e della maternità, il riscatto della laurea, le ricongiunzioni, la possibilità di cumulo contributivo, la possibilità di totalizzazione, ecc..).
Sarebbe utile che su questo qualcuno facesse qualche valutazione su quanto tutto ciò costerebbe.
Ma non si tratta solo di questo
Ci sono altre questioni da valutare
1. Nel sistema contributivo oggi in vigore non è prevista, come è noto, alcuna forma di tassazione dei contributi previdenziali né è previsto alcun contributo aggiuntivo per avere titolo alla reversibilità. L’applicazione retroattiva del metodo contributivo ai vitalizi degli ex-parlamentari obbligherebbe alla restituzione delle tasse pagate sui contributi previdenziali (valutate, per il periodo 2001-2011, in oltre 154 milioni di euro tra Senato e Camera) e alla restituzione del contributo del 2,5% per la reversibilità.
2. Il ricalcolo contributivo dei vitalizi comporterebbe, inoltre, la cancellazione di tutti i contributi di solidarietà non coperti da leggi dello Stato.
3. Si deve tener conto infine con il massimo scrupolo delle ricadute finanziarie delle inevitabili richieste di danni da parte di quanti, in base alle regole vigenti in passato, hanno rinunciato alla propria carriera professionale per mettersi al servizio del Paese o di quanti hanno assunto obbligazioni finanziarie alle quali non potrebbero più fare fronte.
E chi sarebbe personalmente responsabile dei danni di decisioni illegittime?
A questo proposito noi abbiamo sollevato il problema della responsabilità patrimoniale personale di quanti concorrono a decisioni che in sede giurisdizionale siano ritenute illegittime.
È curioso che quelli che un giorno si e l’altro pure denunciano come ignobili privilegi le garanzie poste a tutela della funzione parlamentare, si vogliano nascondere dietro il “privilegio” della insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio della funzione parlamentare, ignorando che le funzioni svolte dagli Uffici di Presidenza siano funzioni amministrative e come tali sindacabili sotto il profilo della responsabilità personale.
A questo riguardo dobbiamo tenere conto dei nuovi parametri di legalità introdotti dall’Unione europea relativamente alle responsabilità del legislatore di fronte a violazioni di diritti primari del singolo.
Parametri che hanno indotto a definire una forma di responsabilità patrimoniale a beneficio di chi ha subito un danno che, in base al diritto europeo, non avrebbe dovuto sopportare.
Come vedete, abbiamo presentato un corposo gruppo di questioni sulle quali, però, nessuno ha risposto nel merito magari per dire che diamo i numeri, che le nostre valutazioni sono infondate o sbagliate.
Anche quando siamo stati, devo dire con cortesia, ricevuti dai Collegi dei Questori di Camera e Senato, non c’è stato alcuna interlocuzione nel merito.
COSA BOLLA IN PENTOLA
Quello che oggi sappiamo sulle proposte in corso di elaborazione, lo abbiamo appreso da dichiarazioni e polemiche pubbliche, da indiscrezioni di stampa.
Sappiamo che con una lettera inviata al Collegio dei Questori, il Presidente della Camera ha perentoriamente invitato i deputati questori a chiudere entro 15 giorni l’istruttoria per definire ipotesi di di ricalcolo retroattivo con metodo contributivo dei vitalizi degli ex-parlamentari.
Una lettera che parte da una premessa priva di fondamento.
Secondo il Presidente della Camera Roberto Fico, dopo le riforme del sistema previdenziale degli ultimi anni, la “sensazione diffusa nel Paese è che la politica abbia chiesto ai cittadini sacrifici senza essere disposta a farne essa stessa per prima”.
Non entro, in questa sede, nel merito del giudizio politico sui sacrifici imposti ai cittadini in questi anni.
Le “dimenticanze” del Presidente Fico e il dialogo tra Camera e Senato
Il Presidente della Camera, però, “dimentica” tre cose importanti.
Innanzitutto, che nessuna riforma previdenziale ha mai tagliato retroattivamente di una sola lira le pensioni degli italiani.
Non esiste alcun precedente di ricalcolo delle pensioni che abbia cancellato le regole vigenti al momento della erogazione della prestazione previdenziale.
Se ci fosse stata una legge in questo senso sarebbe stata sicuramente bocciata dalla Corte Costituzionale per rispetto del principio della irretroattività della legge.
Quanto ai politici che non vogliono fare sacrifici, il Presidente della Camera dimentica che dal 2012 il trattamento previdenziale dei parlamentari è stato riformato in senso contributivo.
L’altra dimenticanza è che l’unica forma il prelievo fatto sulle pensioni degli italiani è stata quella del “contributo di solidarietà”, esteso per tre volte di seguito ai parlamentari anche quando quello versato dai cittadini fu dichiarato incostituzionale.
Sulla base della lettera del Presidente Fico ci sono stati incontri tra questori e tra uffici competenti di Camera e Senato.
Sappiamo che da questa attività non è scaturita ancora una proposta ufficiale.
Da articoli di stampa e da una polemica pubblica tra il Questore anziano del Senato, Antonio De Poli e la senatrice Bottici, abbiamo appreso dell’esistenza di una documentazione prodotta dalla Camera e di una dal Senato.
Per quello che se ne sa il documento in discussione alla Camera si concentra su diverse ipotesi di ricalcolo retroattivo dei vitalizi, mentre quello del Senato affronta i temi della costituzionalità, della fattibilità tecnica e della sostenibilità fiscale delle ipotesi di ricalcolo.
Dalla polemica scoppiata sui giornali tra il Questore anziano del Senato Antonio de Poli e la senatrice Bottici, questore del M5S, sappiamo il documento redatto dagli Uffici competenti Senato, mette in evidenza i profili di incostituzionalità delle ipotesi prospettate dalla Camera, sottolinea i problemi tecnici connessi all’estrema difficoltà a valutare contribuzioni antecedenti al 1996, quando non esisteva in Italia il sistema contributivo e quando si versavano contributi in cifra fissa e non in percentuale o il sistema delle indennità parlamentari non era ancora definito dalla legge e fa presenti i problemi fiscali dell’operazione ricalcolo.
LE PROPOSTE IN DISCUSSIONE
Sul lavoro in corso da parte della Camera sappiamo che si sta lavorando su due ipotesi di ricalcolo retroattivo.
La prima ipotesi produrrebbe un taglio di medio del 20%, corrispondente a 17, 6 milioni di euro all’anno.
La seconda ipotesi aumenterebbe il taglio medio a poco più del 21%, pari all’incirca 18,5 milioni.
La questione molto preoccupante e che per alcuni può essere veramente drammatica riguarda come il taglio viene distribuito tra gli ex-deputati.
Circolano a questo proposito dati allarmanti e offensivi.
166 ex-deputati vedrebbero tagliato il loro vitalizio di una percentuale compresa tra il 50 e l’80%.
Ve ne sono addirittura 13 che subirebbero un taglio dell’83% e si tratta di persone molto ma molto avanti negli anni.
Per 790 ex-deputati il taglio si collocherebbe tra il 20 e il 50%.
Nella seconda ipotesi le cose andrebbero ancora peggio: salirebbe, infatti, a 491 il numero degli ex-deputati che subirebbero un taglio del vitalizio compreso tra il 50% e l’80%, mentre sarebbero 710 quelli che avrebbero un taglio tra il 20 e il 50%.
Stiamo parlando di persone con una età media di 76 anni, con un vitalizio medio di 3.244 euro al mese, molto al di sotto della soglia di 5.000 netti assunta, nel patto M5S-Lega, a parametro di “pensione d’oro”.
Questa non è giustizia è vendetta.
La Camera non rinunci alla sua autonomia, l’Inps non c’entra
Circolano, poi, voci di una collaborazione in corso tra il Presidente della Camera e il Presidente dell’INPS che porterebbe a ipotesi sconvolgenti di raddoppio dei tagli finora ipotizzati.
Nell’incontro che assieme ai colleghi Zolla, Proietti e Gargani abbiamo avuto lo scorso mercoledì con il Collegio dei Questori della Camera, abbiamo chiesto lumi su questa collaborazione.
Il Questore anziano Fraccaro ha confermato l’esistenza di questa interlocuzione tra presidenti di Camera e INPS sull’argomento vitalizi.
È un fatto grave. Siamo di fronte a una indebita intromissione nella sfera di autonomia del Parlamento avallata e sostenuta da chi dovrebbe, invece, tutelarla.
Vogliamo sapere se esistono atti formali sia da parte della Camera che da parte dell’INPS che definiscono i termini di questa “interlocuzione” o se, invece, siamo di fronte a una “collaborazione” abusiva.
Nel suo discorso di insediamento, il Presidente della Camera ha sottolineato la necessità che il Parlamento ritrovi la centralità che gli è garantita dalla Costituzione e ha chiamato all’impegno contro condizionamenti che cercano di influenzarne le libere scelte.
Parole lodevoli e condivisibili.
Peccato che a quelle parole stanno seguendo comportamenti e fatti di segno opposto.
Qualche giorno fa, quando la situazione politica sembrava precipitare verso le elezioni anticipate a luglio, il Capo politico del M5S, parlando dei vitalizi, dichiarò che “se li aboliamo abbiamo segnato un primo punto che dimostra che a noi basta avere un ruolo amministrativo come quello del Presidente della Camera per abolire i privilegi”.
Lasciando da parte le sgrammaticature istituzionali, quello che più inquieta in questa affermazione di Di Maio è l’idea che la terza carica dello Stato, quella che dovrebbe rappresentare l’intera Camera dei deputati e garantire sia la maggioranza e l’opposizione, venga considerata come “cosa sua”, come una sorta di “ministero della propaganda” al servizio degli obbiettivi del M5S.
Preoccupazione per le intese politiche in corso su interventi retroattivi per vitalizi e pensioni
Non meno preoccupante è quanto abbiamo letto nel “contratto” sottoscritto tra M5S e Lega.
Sotto il titolo “TAGLI DEI COSTI DELLA POLITICA, DEI COSTI DELLE ISTITUZIONI E DELLE PENSIONI D’ORO”, si legge che occorre “ricondurre il sistema previdenziale (dei vitalizi o pensionistico) dei parlamentari, dei consiglieri regionali e di tutti i componenti degli organi costituzionali, al sistema previdenziale vigente per tutti i cittadini, anche per il passato.”
Si aggiunge, inoltre, che “per una maggiore equità sociale, riteniamo altresì necessario un intervento finalizzato al taglio delle cosiddette pensioni d’oro (superiori a 5.000 euro netti mensili) non giustificate dai contributi versati.”
Emerge con chiarezza la volontà di colpire con durezza chi ha fatto parte del Parlamento o dei Consigli regionali, o sia stato componente della Corte Costituzionale, della Presidenza della Repubblica o di altri organi costituzionali.
A loro si impone una riduzione generalizzata, permanente e consistente dei trattamenti pensionistici attraverso l’applicazione retroattiva del sistema di calcolo contributivo.
Per tutti gli altri, invece, nessun ricalcolo retroattivo ma imprecisati interventi di taglio ove le loro pensioni non fossero giustificate dai contributi versati.
Questo significa che occorre ricostruire la storia contributiva di ciascuno, ma come ha detto, di fronte alla Commissione lavoro della Camera, il Direttore Generale dell’INPS, l’operazione di ricostruzione è pressoché impossibile.
Particolarmente inquietante è il riferimento alla Corte Costituzionale. C’è un evidente intento di mettere in imbarazzo e di intimidire un organo che si dovrà esprimere sulla legittimità costituzionale delle disposizioni che saranno adottate.
Questioni di legittimità costituzionale che potrebbero diventare esplosive di fronte alla manifesta volontà politica di far saltare un principio cardine dello Stato di diritto: quello della irretroattività della legge.
Siamo certi che il Presidente della Repubblica Mattarella saprà trovare le forme per fare presente alle forze che si accingono a dar vita a un Governo, l’incostituzionalità di proposte di questo tipo.
Risparmiare sui costi della politica, ma non sulla democrazia
Per parte nostra, ribadiamo l’esigenza di contenimento dei costi della politica, chiediamo, però, che non venga intaccato il costo della democrazia.
Riteniamo che l’unica forma legittima di intervento sui trattamenti previdenziali in essere, sancita, attraverso molte sentenze dalla Corte costituzionale, sia quella del contributo di solidarietà.
Su questo terreno l’Associazione è pronta a sedersi attorno a un tavolo per concorrere alla definizione di proposte costituzionalmente sostenibili.
Riteniamo Il ricalcolo retroattivo dei trattamenti previdenziali in essere, pattuiti con lo Stato secondo leggi e regole vigenti in passato, non soltanto illegittimo ma anche profondamente ingiusto.
Si colpirebbero persone anziane nel momento di maggiore fragilità della loro vita.
Si interverrebbe, cioè, su persone che hanno fatto le loro scelte di vita (lavoro, casa, aiuti ai figli), basandosi su presupposti economici che verrebbero ora negati. Persone che non sono in grado di tornare indietro per cambiare le loro scelte di vita o di trovarsi un lavoro.
Questo vale per gli ex-parlamentari ma, per il grave precedente che si creerebbe, varrebbe anche per tutti i pensionati italiani.
Con buona pace della retorica sull’equità sociale.
In tutto questo non è difficile vedere il precipitato politico della martellante campagna condotta con ogni mezzo di comunicazione da oltre 10 anni contro il sistema di garanzie poste dalla Costituzione a tutela della autonomia e della libertà delle istituzioni rappresentative e di garanzia del Paese.
In difesa della Costituzione, del Parlamento e della funzione dei Parlamentari
All’inizio di questa mia relazione ho detto che in gioco c’è molto di più della sorte dei nostri vitalizi.
La nostra battaglia riguarda le garanzie attribuite dalla Costituzione alla funzione parlamentare.
La garanzia che il Parlamento e le assemblee elettive siano accessibili a tutti senza discriminazioni di censo o di reddito.
La garanzia che il parlamentare sieda sui banchi del Parlamento per scelta dai cittadini e non per “nomina”.
La garanzia che ciascun parlamentare possa esercitare la sua funzione senza vincolo di mandato.
La garanzia che nessun parlamentare, nell’esercizio delle sue funzioni, possa essere chiamato a rispondere delle opinioni espresse o dei voti dati.
La garanzia che senza l’autorizzazione delle Camere nessun parlamentare possa essere arrestato o privato della libertà personale, né che la sua corrispondenza o le sue comunicazioni possano essere intercettate o sequestrate.
La garanzia di un trattamento economico che consenta al parlamentare di svolgere in piena autonomia e libertà la propria funzione e di adempiere ai doveri connessi al suo mandato.
Senza queste garanzie non esiste né autonomia, né libertà, né centralità del Parlamento.
Ci inquieta molto leggere in queste ore di propositi di ridurle o cancellarle tramite “comitati di conciliazione” che asservirebbero Camera e senato a entità esterne e private.
Impensabile l’imposizione ai Parlamentari del “vincolo di mandato”…
Altrettanto ci inquietano propositi di riforma costituzionale per abolire il divieto di vincolo di mandato che cancellerebbe persino la libertà del parlamentare di presentare senza il permesso del “Capo politico “una banale interrogazione, a pena di decadenza.
Non è un caso che quanti vogliono un Parlamento sottomesso, vogliono indebolirne il ruolo e la centralità, hanno messo nel mirino, ora in modo aperto, ora in modo subdolo, quelle garanzie.
Garanzie che sono state raccontate all’opinione pubblica come “odiosi privilegi” di una “casta” di intoccabili.
Attorno a questi concetti si è sviluppato un vero e proprio genere letterario, si sono fatte migliaia di ore di trasmissioni radiofoniche e televisive, sono stati pubblicati migliaia di articoli, si è sviluppata sui social network una vera e propria campagna di insulti e di aggressione.
… e gli effetti “perversi” della campagna denigratoria contro la politica, i partiti e le istituzioni
Una campagna mediatica senza precedenti nella storia dell’Italia repubblicana.
È stata prodotta in questi anni una montagna di bufale, o per dirla con un termine più alla moda, di fake news.
Ci hanno raccontato che in Italia, rispetto agli altri paesi, i parlamentari sono troppi: la verità è che se li rapportiamo alla popolazione, scopriamo che in Europa siamo al ventiduesimo posto.
Ci hanno raccontato che i parlamentari italiani guadagnano troppo: tra indennità e spese per l’esercizio del mandato il parlamentare italiano riceve 15.390 euro lordi al mese. In Francia si arriva a 21.215, in Germania a 19.712, nel Regno Unito 17.958 e nel Parlamento europeo si arriva a 36.000 euro.
Ci hanno raccontato che bastano 2 giorni in Parlamento per avere diritto al vitalizio ma si sono dimenticati di dire che si tratta di 2 persone, in base a una norma che non esiste più da 20 anni e che comunque avevano versato contributi corrispondenti a quelli di una intera legislatura.
E potrei continuare.
La verità è che la giusta denuncia dei vizi della politica è servita non per rendere la politica più virtuosa, ma per combattere la politica in quanto tale, contrastandola in tutte le sedi istituzionali nelle quali la politica, per volontà popolare svolgeva la sua funzione democratica, magari con l’intento di mettere tecnocrati al posto di politici.
È così che qualche comunità montana sorta in pianura è diventato il pretesto per cancellare tutte le comunità montane e i relativi fondi, lasciando nell’abbandono e nell’incuria
territori essenziali nella vita del Paese.
E’ così che qualche iniziativa impropria assunta da qualche Provincia è diventata il pretesto, non per dare una articolazione nuova ai poteri locali distribuendo con più razionalità le competenze, ma per alimentare una campagna che ha portato alla eliminazione della sola parte elettiva delle Province, lasciando in piedi solo apparati burocratici con pochi soldi gestiti da organi politici di secondo grado di cui nessuno conosce l’attività se non nei risultati pessimi della gestione delle strade e dell’edilizia scolastica.
È cosi che anziché attuare con legge l’articolo 49 della Costituzione sui partiti anche come strumento per combattere il loro finanziamento illecito, si è arrivati alla loro demolizione negando ogni forma di finanziamento pubblico diretto, come accade, invece, in molti Paesi democratici.
Perfino negli Stati Uniti se si rinunzia ai finanziamenti privati, è possibile usufruire di fondi pubblici, mentre in Germania, dove i partiti sono regolati per legge, basta avere lo 0,5% alle elezioni politiche per ottenere 1 euro per ogni voto preso.
Siamo in una fase difficile della vita politica del Paese, nuove forze si sono affacciate alla ribalta della scena politica.
Dobbiamo essere rispettosi della sovranità popolare, ma dobbiamo vigilare che essa venga sempre e senza tentennamenti esercitata nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione.
Perché qui sta la garanzia che non nascano nuovi regimi.
Senza nessuna retorica, voglio dire, in conclusione, che questa è la posta in gioco della nostra battaglia.