Relazione del Presidente Giuseppe Gargani
Consiglio Direttivo del 24 ottobre 2024
Come sapete ho sempre auspicato una riunione del direttivo più intensa del solito, più completa e debbo dire che Soriero ha voluto chiuderci in un convento per farci essere più ispirati e più compresi in noi stessi.
Ma raccordare le nostre idee e fissare con precisione alcuni punti programmatici e strategici della nostra azione, mi pare una cosa utile soprattutto per me e per noi che siamo qui per coordinare le varie iniziative.
Per questo vi invito ad approfondire le riflessioni che brevemente farò ma che sono contenute anche in altre relazioni precedenti, per confermare e rafforzare la nostra collegialità e soprattutto la nostra solidarietà.
Come ho detto altre volte l’Associazione non può non fare politica tenuto conto della nostra esperienza e della nostra cultura ma con una maturazione e un atteggiamento che ci pone in qualche modo al di sopra delle parti.
Questo mio appello non è retorico ma sostanziale perché debbo confessarvi, mi sforzo di ragionare, ovviamente con il mio bagaglio culturale, che considero funzionale al rispetto delle istituzioni e della Costituzione, che ritengo insostituibile. Il raffronto con le nostre culture di provenienza dovrebbe portarci ad una sintesi virtuosa che configura una politica istituzionale fuori dalla tradizionale lotta politica che ha caratterizzato la nostra storia.
Sono convinto, ma vorrei che me lo confermaste tutti, che, nonostante questa ulteriore emergenza dei vitalizi, che stiamo vivendo e che angoscia soprattutto noi che ci occupiamo a Roma come vi dirò, di continuare a rilanciare l’attività dell’Associazione.
Sapete che il vulnus agli ex parlamentari non è tanto sul piano economico, problema pur sempre rilevante, ma istituzionale, del ruolo che abbiamo avuto e che continuiamo ad avere nella società.
Sappiate che per me fino a che resta un solo nostro collega con un “taglio” irrazionale e cattivo, il vulnus non è superato, perché è l’intera categoria che ne soffrirebbe: la nostra autonomia è individuale e collettiva.
La gestione Falomi ha risolto, come sempre ho detto, i due terzi del problema dei vitalizi ma è poca cosa per questo mio modo di valutare il problema.
Dunque è per porre basi più consistenti all’Associazione che negli anni passati abbiamo proposto lo Statuto del Parlamentare e implicitamente dell’Ex Parlamentare, che è patrimonio prezioso, come ebbe a dire l’on. Giorgio Mulè al nostro convegno del dicembre scorso; la modifica del regolamento dell’autodichia che conoscete e che è stata proposta come legge dall’on. Carmelo Romano, e la modifica del nostro Statuto per farlo essere più moderno e funzionale.
Questo il significato dell’essere Associazione e questo è il primo programma che dobbiamo portare avanti e che abbiamo proposto molti mesi fa e che è oggetto di interesse da parte delle nostre Commissioni di Studio.
Tutto questo non è stato minimamente compreso dall’attuale Parlamento né, ahimè! da quei gruppi che vengono da una intensa storia parlamentare, come il PD che anzi sono esistiti e che esistono ancora per la forza del Parlamento e per le loro battaglie nel Parlamento. Ma, soprattutto non è stato compreso dai componenti del “Tribunale” dell’autodichia che pervicacemente e con responsabilità anche personale hanno messo sotto i piedi le leggi e i diritti costituzionali fondamentali.
L'Associazione degli Ex Parlamentari è anomala, è un'associazione non sindacale, questo lo abbiamo ribadito tante volte, perché è un'associazione politica che raccoglie le esperienze degli ex parlamentari per difenderle. Le Associazioni di ex parlamentari in Europa, che conosco per aver avuto anche un'esperienza europea, hanno un rapporto organico, un rapporto molto buono con i parlamentari e il Parlamento, perché sono le esperienze vecchie che si dovrebbero riversare nelle esperienze nuove che fanno i nuovi deputati. lo, e anche chi mi ha preceduto, ha fatto di tutto per avere rapporti molto buoni, rapporti dialettici, rapporti di comprensione con i Questori, con gli Uffici di Presidenza, con il Parlamento nel suo complesso ma non è stato possibile ottenere ascolto. All'origine di tutto nel 2018, quando ha vinto le elezioni politiche il movimento 5 Stelle, che aveva bisogno di crearsi una verginità, si è trovato un nemico in tutti quelli che c'erano stati prima nel Parlamento. Doveva cinque stelle aprire la famosa scatola di tonno ma non ci sono riusciti e hanno avuto un'avversione, una sorta di rancore dettato dal fatto di voler girare pagina, di crearsi una verginità, come ho detto, perché la casta eravamo noi.
Dove potevano colpirci era sul problema della retribuzione di questi vitalizi, che vengono considerati universalmente un privilegio. Noi vogliamo sfatare questa leggenda, certamente il problema è ridotto rispetto a quello che l'opinione pubblica ritiene. L'Ufficio di presidenza si è servito di Boeri, che era il Presidente dell'Inps, il quale poi si è pentito, perché aveva offerto dei parametri fasulli per poterci colpire anche retroattivamente.
La sentenza del 24 luglio u.s. è un'ingiustizia perché colpisce retroattivamente, penalizza retroattivamente una categoria di cittadini, l'unica categoria di cittadini che siamo noi; l’abbiamo impugnata con argomentazioni giuridiche - costituzionali ancora una volta non per una rivendicazione sindacale ma per pretendere il rispetto del ruolo e della funzione del Parlamento come la Costituzione prevede.
Dal 1948, questa è una verità e non può essere contestata, non c'è organo giurisdizionale né alcuna legge che abbia potuto penalizzare per il passato qualunque cittadino: gli unici cittadini penalizzati per il passato retroattivamente siamo stati noi, eppure un canone fondamentale dello stato di diritto è la legittima aspettativa, che riguarda i giornalisti, i farmacisti, gli avvocati, i medici ecc.. non noi.
Abbiamo detto queste cose dopo la sentenza del 24 luglio u.s. e le ripetiamo.
Il mio ottimismo che riconfermo anche ora mi porta a dire per esperienza come avvocato ma anche come legislatore, che trionfa sempre alla fine la cultura e la ragione, se volete il pensiero. Prima di luglio l’ottimismo era legato al risultato precedente del Senato e al risultato parziale del consiglio giurisdizionale della precedente legislatura per cui ritenevo una sorta di atto dovuto la sentenza definitiva.
Ora ci troviamo a dover fare i conti con il secondo grado dell’autodichia all’udienza del 6 novembre e ci siamo affidati per lo spirito saldamente culturale e giuridico che ci anima, al diritto, alle nostre note che non chiamo difensive perché non dobbiamo difenderci, ma per spiegare, spiegare e non stancarci. Abbiamo fiducia nel diritto e le tante iniziative prese e che vi abbiamo spiegato nelle varie lettere di informazioni che abbiamo mandato a tutti, sono state tutte ispirate a questo principio.
Abbiamo chiesto un parere pro – veritate al Prof. Sabino Cassese che si aggiunge a quelli di Mirabelli e Tesauro, che spiega in maniera inoppugnabile quale misfatto è stato compiuto contro la Costituzione.
Abbiamo scritto al Presidente Fontana in maniera accorata ma puntuale e rigorosa chiedendo giustizia.
A questo punto, nonostante Falomi in maniera ricorrente ha ripetuto in questi anni che la via politica non era né valida né possibile, e lo abbiamo constatato, noi abbiamo il dovere di tentare tutte le strade. Prima del 24 luglio u.s. avevamo parlato insieme a Soriero con il PD, e il suo capogruppo, abbiamo parlato con la Serracchiani ma non abbiamo concluso un bel niente. Cionondimeno, siccome sono pur sempre un avvocato in quiescenza, ho convinto anche Falomi a metter in opera una subordinata per ottenere una decisione dell’Ufficio di Presidenza che possa fermare il contenzioso.
Abbiamo avuto martedì un incontro con Mulè ed Ascani che sembra si siano resi conto della problematica e siano decisi a operare per rendere giustizia.
Dicevo prima che tutti dobbiamo essere intenzionati a rilanciare l’Associazione nonostante questi ostacoli perché il vulnus della metà circa degli Ex Deputati, non possiamo negarlo, pesa molto. Per questa ragione vi proponiamo di versare un contributo (tenuto conto delle somme accantonate quando aumentammo di 5€ la nostra quota associativa), di 250,00€ per chi ha ancora un taglio superiore al 5% del vitalizio.
L’attività svolta nei mesi scorsi la conoscete per le questioni istituzionali che abbiamo affrontato con successo a Roma e nelle varie Regioni; e anche per approfondire le questioni sui problemi del Parlamento e del nostro ruolo, abbiamo programmato una grande assemblea per il 26 novembre nella sala della Regina alla Camera dei Deputati con relazioni sul ruolo dei parlamentari e degli ex parlamentari proprio per spiegare in termini istituzionali le nostre rivendicazioni da parte del Professore Sabino Cassese, Giorgio Mulé e Anna Ascani.
Continuiamo a ricordare con queste stesse motivazioni i deputati Bianco alla presenza di Mattarella, Franco e Marisa Rodano a dicembre e Gerardo Chiaromonte a gennaio.
Presentiamo il libro di Angelo Rossi, nostro componenti del direttivo il 13 dicembre e quello di Dosi il 13 novembre.
Per il 4 dicembre abbiamo preparato in seminario proposto da Giampaolo Sodano con tutte le tematiche “politiche” che debbono interessare noi come vecchia classe dirigente e alle quali accennerò.
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Ho avuto modo di esprimere in altre occasioni il mio pensiero: io non credo alle crisi inarrestabili né a derive che non si possono evitare o orientare. La classe dirigente deve avere la funzione di orientare di educare anche senza stancarsi, anche se il risultato può essere magro.
E allora in sintesi vorrei prospettarvi alcune riflessioni sulle quali vorrei il vostro parere e i vostri suggerimenti, che vi dico subito, non sono contro il Governo o contro questo o quel partito ma sono connaturate, come dicevo prima, alla nostra cultura e alla nostra funzione, per cui dovremmo trovarci tutti d’accordo.
La nostra attività politica deve essere indirizzata per correggere le deviazioni che registriamo delle quali negli incontri personali e collettivi discutiamo tutti i giorni con grande consenso.
Registriamo una crisi culturale che determina la crisi politica che è propria delle società che in questo tempo si dicono “aperte” democratiche e che, è mia convinzione, porta alla crisi demografica.
Le “società chiuse” cioè le dittature o le democrature come oggi sono chiamate, sono apparentemente avvantaggiate proprio perché “chiuse” in sé stesse con spazi di libertà ristretti o nulli. Per questo lo scontro tra Occidente e Oriente, per questo le guerre, le aggressioni che paralizzano la diplomazia proprio per quella asfissia culturale che esalta il personalismo. Noi siamo una società “aperta” con una situazione ancora favorevole perché la Costituzione ci garantisce, ma la tendenza a celebrare il sovranismo e a guardare all’Europa con scetticismo ci crea qualche problema.
Se non vogliamo fare il tifo per questo o quell’altro movimento politico dobbiamo riconoscere questi rilievi e farci portatori di un messaggio democratico maturo.
I movimenti politici registrano uno scontro violento nominalistico privo di contenuto. La minoranza attribuisce un pericolo fascista al Governo e la maggioranza mostra di non sopportare i controlli di qualunque tipo per una pretesa prevalenza del consenso su tutto il resto.
Il rapporto tra i poteri, che è il presupposto della democrazia e dei diritti di libertà, deve determinare armonia istituzionale e unità di fini, proprio perché parallelamente tutti debbono lavorare dialetticamente per il bene comune.
A questo proposito non posso non commentare con preoccupazione quello che è avvenuto in questi giorni nel rapporto con la magistratura.
Sorprendono e destano preoccupazioni le dichiarazioni di alcuni membri del Governo ma in particolare quelle della Presidente del Consiglio che non critica le sentenze e le ordinanze della magistratura nel merito ma contesta il diritto di intervenire perché alcune decisioni, e per ultimo soprattutto quella recente sugli immigrati inviati in Albania, competono solo al Governo che ha il consenso degli elettori. Si tratta di contestazioni sistematiche che ignorano le distinzioni dei ruoli istituzionali, caratteristica fondamentale della democrazia.
La Presidente Giorgia Meloni non può contestare l’intervento della magistratura come non dovuto e ritenere che il giudice debba “aiutare il Governo” con una contraddizione pericolosa, perché l’”aiuto” sarebbe “politico” e quindi anomalo.
Come è possibile rinnegare a tal punto la Costituzione?!
D’altra parte è molto strano che anche il Ministro di Giustizia Carlo Nordio faccia dichiarazioni non “istituzionali” che rivelano un populismo penale contrario alle cristalline tesi enunciate nei suoi preziosi libri. Aver introdotto nel nostro ordinamento 48 nuovi reati e altri 24 previsti nel decreto sicurezza in discussione alla Camera e aumenti di pena per 417 anni per i vecchi reati fa venir fuori un animo giustizialista che asseconda la vendetta e il rancore sociale. La funzione che Nordio si era assegnato quando ha accettato il Ministero della giustizia era quella di “depenalizzare” nell’interesse della giustizia.
Ho passato la vita a criticare il ruolo distorto che i magistrati si attribuiscono nell’attuale contesto, ma ora non posso non difendere la funzione che essi hanno nella Costituzione.
È stato detto molto acutamente che “nel conflitto tra giustizia e diritto, abbiamo smesso di pensare alla prima come a qualcosa di divino, ma continuiamo a credere che il senso del giusto sia quello che è riconosciuto e sedimentato come tale in una determinata società. Sulla questione albanese, vale la pena chiedersi se «giusta» sia la protezione dei migranti da territori insicuri, o la protezione di una presunta sicurezza nazionale messa in pericolo solo per il fatto di dover seguire la procedura ordinaria di richiesta di asilo. Cicerone diceva che la legge coincide con la retta ragione. Ben vengano i pregiudizi occidentali se per retta ragione intendiamo che gli Stati, e il diritto di cui si fanno portavoce, funzionano bene quando fanno il possibile per proteggere i diritti degli ultimi, e non per consentire ai governi di fare propaganda politica”.
Per far vincere la società è necessaria la politica e la conseguente cultura di governo per governare appunto il paese. Il quale ha bisogno di identità e un paese ha identità se i partiti che sono l’asse portante in Parlamento hanno identità essi purtroppo l’hanno perduto per le tante ragioni che consociamo ma anche perché abbandonato il sistema elettorale proporzionale per la raccolta del consenso abbiamo sperimentato sistemi che hanno distrutto la rappresentanza e hanno creato un divario pericoloso tra i cittadini e le istituzioni.
Gobbetti scriveva che “nei mesi intorno alla prima riforma istituzionale' del fascismo l'approvazione della Legge Acerbo, che nel 1923 abbatté la proporzionale, sferrando l'attacco mortale al Parlamento, e dunque alla democrazia, preparando la strada alla dittatura. “Le parole, altissime e profetiche, di Gobetti (morto in seguito alle percosse fasciste a soli 26 an-ni: uno dei danni intellettuali più gravi inflitti all'Italia dal regime) risuonano oggi in modo sinistro: "Questo popolo, che si vanta vincitore e modernissimo, che sogna primati industriali e guerrieri, non è stato capace di reggersi col regime dei partiti, con lo strumento della proporzionale. Non è all'altezza delle democrazie moderne, per cui la proporzionale è, e deve essere, quello che l'uso della tastiera è per la dattilografa”.
Un nostro impegno in questo senso è importante come è stata importante l’iniziativa di Palumbo.
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Questo sul piano nazionale, mentre continua una guerra di aggressione all’Ucraina che è una guerra contro l’occidente. Tutti ormai dovremmo essere convinti di questo anche se possiamo avere valutazioni diverse sulle cause e sulle responsabilità.
E ancora dopo il 7 ottobre 2023, è scoppiata la guerra in Medio Oriente che ha risvegliato la questione palestinese, ma al tempo stesso e con grande meraviglia ha risvegliato nel mondo l’antisemitismo che dopo la tragedia di Aushwitz sembrava non dover mai risorgere. È stato detto che “i discendenti di un popolo perseguitato per secoli dall'Occidente cristiano e poi razzista possono diventare al tempo stesso i persecutori e il bastione avanzato dell'Occidente nel mondo arabo. Il pensiero è diventato cieco”.
“Queste guerre aggravano lei crisi che colpiscono le nazioni, alimentate dal virulento antagonismo fra tre imperi: Stati Uniti, Russia e Cina. Le crisi si alimentano a vicenda in una sorta di policrisi ecologica, economica, politica, sociale di civiltà in continua crescita”.
Tutto questo dimostra quanto le tensioni internazionali abbiano deteriorato rapporti che, qualche anno fa, sembravano potere arrivare a compromessi positivi per entrambe le parti. Con questi scarsi risultati, si dimostra, con ancora maggiore evidenza, che ogni singolo Paese europeo non è in grado di portare avanti una politica autonoma, data la propria debolezza di fronte ai grandi interlocutori come la Cina e gli Stati Uniti.
Quindi l’intero pianeta è alla ricerca di un nuovo “ordine”, essendo esaurito o contraddetto quello di Jalta del 1948, ed è necessario che l’Italia, per essere protagonista del nuovo corso faccia la sua parte riscoprendo la politica. È stato detto che un ordine mondiale non è mai esistito perché le trasformazioni della società e nella società determinano nuove libertà, mettono in evidenza diverse sensibilità, diversi interessi; ma un equilibrio, sia pure provvisorio, è necessario.
Se l’Italia e l’Europa non riscoprono la “politica” non possono dare un contributo al nuovo assetto che sarà inevitabile dopo gli sconvolgimenti e le guerre che rappresentano sempre più uno “scontro” di civiltà e noi dobbiamo dare un contributo in questo senso.
Negli anni 90 la crisi dei partiti che costituivano la struttura della democrazia parlamentare alimentò l’illusione che tutto diventasse più semplice senza i partiti e senza le “fatiche” della democrazia che tutto fosse alla portata di tutti. La società sembrava felice di superare le lentezze che i partiti di massa imponevano con regole e rituali ritenuti superati e inutili, e si è imposta una classe dirigente improvvisata senza retroterra culturale né istituzionale che ha consentito un lungo periodo di transizione”.
Al contrario il personalismo di Forza Italia al di là delle intenzioni ha consentito un offuscamento della crisi della democrazia rappresentativa e del Parlamento e la messa in discussione dei valori portanti della Costituzione. I quali oggi dovrebbero essere superati per un anomalo presidenzialismo estraneo alla nostra cultura democratica e costituzionale.
Per questo presunto cambiamento è nata la “seconda Repubblica” con le elezioni dell’autunno del 2022 che dovrebbero avere il compito di modificare l’assetto costituzionale e amministrativo del nostro Paese.
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Non vi è dubbio che il 25 settembre con le elezioni politiche è nata la “seconda Repubblica”, con caratteristiche diverse rispetto a quella che conosciamo dal 1948.
La Costituzione non è modificata, la Repubblica naturalmente continua ad essere parlamentare con i medesimi riferimenti normativi e legislativi, ma il risultato elettorale che ha dato la vittoria alla destra dovrebbe consentire la modifica della cultura istituzionale che è stata dominante nei 74 anni che ci separano dal 1948.
Il prevalere del movimento cinque stelle alle elezioni del 2018 ancora una volta non ha “cambiato” la “Repubblica” perché si è trattato di una protesta antisistema destinata a fallire per la inconsistenza del movimento e per la mancanza di idee e di strategie alternative come abbiamo potuto verificare nell’ultimo periodo.
È con le elezioni del 2022, dunque, che cambia la situazione politica perché finisce la fase politica che ci ha accompagnato dal 1948, con il prevalere del centro sinistra o del centro destra che avevano in se per la natura stessa di partiti pluralisti, i valori che davano vita a coalizioni pluralistiche con forte solidarietà.
Alle ultime elezioni, nonostante le apparenze, non si sono presentate coalizioni capaci di esprimere complessivamente quei valori che ho indicato, ma si è capovolta la logica precedente: si sono presentate una destra identitaria e circoscritta, che ha vinto, con residui del vecchio centro, e una sinistra timida e incerta ma pur sempre sinistra.
Non abbiamo avuto quindi alle elezioni del 2022 coalizioni di forze politiche diverse ma protese a un comune obiettivo, guidate da un “centro” consistente e dominante come per il passato. Una circostanza che non deve sfuggire è che per il passato non vi è stato mai un governo di destra né di sinistra, perché la destra ha avuto margini di consenso sempre modesti e la sinistra pur avendo avuto consensi notevoli ha subito le strategie del “centro” politico che ha dato l’indirizzo del governo.
Insomma il centro sinistra e il centro destra hanno indicato per il passato una politica che ha qualificato le forze politiche e i governi perché ogni partito conteneva nella sua dialettica interna il centro e un po' di destra e un ‘po’' di sinistra, ma a lungo andare hanno perduto entrambe le qualifiche e i valori di riferimento, e tutto è diventato personalismo e qualunquismo.
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Dopo queste valutazioni non possiamo non affermare che, dagli anni 90, la politica ha ritenuto che suo compito fosse quello di raccogliere acriticamente le istanze della nuova società che non era più una società di massa collegiale, ma individuale, che faceva prevalere il personalismo. Quando la cultura non ha più modelli di riferimento e quindi è priva di ispirazione culturale dilaga e si impone il personalismo che scompone i soggetti sociali i quali non si riconoscono in una comunità organizzata.
I nuovi politici sono alla ricerca degli errori della vecchia classe dirigente per crearsi una verginità ma mostrano il rancore personalistico che elimina qualunque passione civile e politica.
È per questo che dagli anni 90 si è tentato di smantellare il vecchio apparato prima con tangentopoli, poi con leggi elettorali truffaldine, con un panpenalismo che disgrega la società e con il taglio dei parlamentari, e perché no, con il tentativo di penalizzare i vecchi parlamentari anche sul piano economico.
Si è abrogato il finanziamento pubblico ai partiti non più necessario alla dialettica politica, si sono approvate leggi incerte ed equivoche come la modifica dell’art. 68 della Costituzione, che garantiva l’autonomia dei parlamentari e del Parlamento, il traffico di influenza e la legge Severini che disdegna la presunzione di innocenza e delega al magistrato la interpretazione della legge anche perché impreciso consentendo la prevalenza del giudiziario su tutti gli altri poteri e le altre funzioni. Per ultimo si vuole modificare la Costituzione con la elezione diretta del Presidente del Consiglio e con un decentramento selvaggio: due riforme in contraddizione tra di loro: un eccessivo accentramento in una persona e un decentramento appunto che non rispetta lo spirito unitario della Costituzione.
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È mia opinione che questo lungo periodo di transizione è giunto al capolinea: o si inverte la tendenza e si riscoprono i valori istituzionali e politici oppure il declino è inevitabile.
È questa opera e questo programma che sta a noi vecchia classe dirigente indicare ad una nuova, avvertita e protagonista, che ha voglia di correggere le deviazioni in atto e in concreto riprendere il filo di una politica forte con partiti organizzati democraticamente.
Bisogna fare appello a cattolici, laici e riformisti a mettersi insieme perché questo appello è più sentito nell’elettorato che ha una cultura omogenea che nei “movimenti” esistenti, il quale recepisce, attraverso realtà intermedie, anche i costumi, le emozioni ma soprattutto i sentimenti politici dominanti.
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L’europeismo e l’atlantismo non sono politiche contingenti, come il governo attuale le interpreta, ma strategiche, per il futuro.
La sovranità europea consente e potenzia la sovranità nazionale.
La maggioranza che si è costituita nel Parlamento europeo e nella Commissione ha il compito di difendere l’Europa dagli euro scettici e da quelli che non credono e ostacolano l’Europa.
Esiste uno spazio enorme nella società, che chiede identità, contenuti: dal 90 ha prevalso “l’indistinto” che ha caratterizzato questo lungo periodo ma la destra alle ultime elezioni è stata premiata per la sua “identità” in mancanza di altre precise identità.
Dunque chi ha considerato e considera la politica come una scelta per il bene comune e non una contrapposizione selvaggia, che è una politica vecchia e punitiva, deve operare per riunificare le politiche, perché i modelli attuali sono effimeri e truffaldini nei confronti degli elettori. Per questo disegno sono importanti riformisti che hanno e debbono avere una “identità riformista” che nel 900 era legata alle ideologie allora operanti e che oggi hanno una caratteristica concreta e operativa.
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Queste valutazioni che spiegano a volo d’aquila le ragioni delle nostre difficoltà e della differenza rispetto alla politica che i partiti grandi e piccoli hanno portato avanti negli anni, debbono essere alla base dei nostri eventi e delle nostre manifestazioni e deve costituire la ragione del seminario del 4 dicembre p.v. perché l’Associazione deve costituire il patrimonio del Parlamento nella funzione storica che ha avuto nel nostro Paese e che noi dobbiamo costantemente onorare.