Le chiamano “pensioni d’oro”. Intendono gli assegni da 90.000 euro lordi annui in su (ma anche quelli da 4.500 euro netti al mese in su, chissà come calcolati). Parliamo di M5St e Lega. Nel “contratto” avevano messo la soglia di 5.000 euro netti al mese. Poi erano scesi a 4.000. Poi si sono assestati su 4.500. Dicono che bisogna fare giustizia e che nessun “pensionato d’oro” deve ricevere più di quanto versato di contributi. Dicono che chi non ha pagato abbastanza verrà penalizzato con un ricalcolo retroattivo e che i risparmi serviranno a ristabilire un po’ di equità.
Ma le cose stanno proprio così? Non sembra proprio. Facciamo un paio di osservazioni su ricalcolo e costituzionalità (retroattività). M5St e Lega, per ottenere il risultato, hanno infatti depositato alla Camera una proposta di legge (AC 1071 Legge, vedere allegato), firmata dai capigruppo Francesco D’Uva (M5St) e Riccardo Molinari (Lega), di cui è iniziato nel frattempo la discussione in Commissione.
Ricalcolo. Leggendo la proposta si scopre che il ricalcolo delle pensioni superiori alla soglia (da effettuarsi sia per quelle passate che per quelle future) avverrà non in base ai contributi versati ma in base all’età di pensionamento effettivo “corretta” con l’età di pensionamento legale attualmente vigente (quella stabilita dalla Legge Fornero, di cui gli alleati di governo dicono ogni male).
La “correzione” avviene utilizzando i coefficienti in uso per le diverse età con il risultato che prima uno è andato in pensione e più grande sarà la penalità (senza tenere conto del fatto che ciò fosse avvenuto in forza del possesso di un requisito di legge, e magari nemmeno per volontà propria ma per una determinazione del datore di lavoro). Di montante contributivo e simili non si parla mai.
Della cosa, non proprio un dettaglio, si era già accorta “Repubblica”. E il vice-premier Luigi Di Maio aveva replicato stizzito con un post intitolato “Le Fake-news di Repubblica sulle pensioni d’oro. Aiutateci a ristabilire la verità” (13 agosto 2018) affermando con la solita boria: “il nostro ricalcolo si basa su un calcolo oggettivo ed un principio: quanto i pensionati dovrebbero prendere di pensione in base ai loro contributi versati. Semplicemente equità”. E il capogruppo D’Uva, con uno sbarazzino post “Bye Bye pensioni d’oro" (30 agosto 2018), aveva ribadito con durezza e sufficienza: “Le pensioni d’oro saranno tagliate senza pietà … È una proposta di puro buon senso che redistribuisce le risorse ai pensionati minimi e sociali risparmiando sulle pensioni oltre i 4.000 euro netti mensili. Naturalmente taglieremo solo la parte eccedente i 4.000 euro che non corrisponde ai contributi effettivamente versati, eliminando l’ennesimo privilegio (nel frattempo i 4.000 euro netti sono diventati 4.500, ndr)”.
Ora, che le cose non stiano così, se non nel titolo della legge, dove si legge “Disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso il ricalcolo, secondo il metodo contributivo, dei trattamenti pensionistici superiori a 4.500 euro mensili”, lo scrivono nero su bianco i tecnici della Camera nel “Dossier” (vedere AC1071 Dossier, allegato) nelle “schede di lettura” che servono a facilitare la discussione sul testo all’esame del parlamento.
Riportiamo qualche passaggio del “Dossier”:
“La rideterminazione è legata all’età di pensionamento, più precisamente:
• alla differenza tra età anagrafica effettiva del pensionamento ed età anagrafica definita dalla normativa vigente per le pensioni future;
• al rapporto tra diversi coefficienti di trasformazione, a seconda della data di decorrenza dei trattamenti pensionistici sulla base dei parametri di cui alla Tabella A allegata all’articolo 1, comma 2, per le pensioni in essere (periodo dal 1° gennaio 1996 al 31 dicembre 2018),
• all’applicazione dei coefficienti di cui alla Tabella B allegata al provvedimento, per le pensioni erogate fino al 31 dicembre 1995.”
Per chiarire meglio le modalità di ricalcolo, i tecnici della Camera aggiungono:
“In sostanza, il meccanismo porrebbe al numeratore il coefficiente relativo all’età di pensionamento effettivo ed al denominatore il coefficiente legato all’anzianità richiesta per la pensione di vecchiaia. Il risultato ottenuto, se minore di un valore pari a uno, è applicato alla quota retributiva della pensione indicando la percentuale della riduzione da effettuare”.
Conclusione:
“La proposta in esame, pertanto, configura una revisione che prende in considerazione solo i coefficienti di trasformazione legati all’età posseduta al momento del pensionamento, a prescindere da un effettivo ricalcolo contributivo.”
A proposito del metodo di ricalcolo delle pensioni Di Maio e D’Uva semplicemente non dicono la verità. Sono volutamente imprecisi e fanno propaganda.
Costituzionalità (retroattività). Il ricalcolo, secondo la proposta di legge, avrà valore retroattivo nel senso che si applicherà a tutte le pensioni in erogazione caratterizzate da alcuni requisiti (l’importo, la pensione di anzianità, l’età di pensionamento etc.). Che la questione sia “costituzionalmente delicata” è chiaro anche ai firmatari del testo tanto che nella relazione illustrativa mettono le mani avanti e sostengono che una tale disposizione retroattiva, indubbiamente ardita, sarebbe tuttavia compatibile con i principi di proporzionalità, ragionevolezza e rispetto del legittimo affidamento fissati dalla Corte Costituzionale in precedenti sentenze.
Ecco quanto si legge nella relazione: “Il principio emerso è che il legislatore non è interdetto dall’emanare disposizioni modificative dei rapporti di durata in senso sfavorevole, ove esse non siano arbitrarie, ovvero risultino improntate a un carattere di ragionevolezza e proporzionalità. A tale proposito sembra evidente il carattere di non arbitrarietà, ragionevolezza e proporzionalità delle misure di ricalcolo applicate alle pensioni d’oro, in ragione dell’intento teleologico che risponde pienamente al principio di solidarietà sociale cui è improntato il testo costituzionale. Esse possono essere considerate – come si è espressa la Corte costituzionale nella citata sentenza n. 173 del 2016 – “una misura di solidarietà ‘forte’, mirata a puntellare il sistema pensionistico e di sostegno previdenziale ai più deboli (...), imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso”.
Vero che la Corte, con la sentenza citata, autorizzò un contributo di solidarietà “interno” al sistema pensionistico, ma, come ci ricorda il già citato “Dossier”, nella medesima sentenza la stessa Corte ha precisato come tale contributo costituisca “una misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza”, il che porta la Corte Costituzionale stessa a dire che “in linea di principio, il contributo di solidarietà sulle pensioni può ritenersi misura consentita al legislatore ove la stessa non ecceda i limiti entro i quali è necessariamente costretta in forza del combinato operare dei principi, appunto, di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (artt. 3 e 38 Cost.), il cui rispetto è oggetto di uno scrutinio ‘stretto’ di costituzionalità, che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben più elevato di quello che, di norma, è affidato alla mancanza di arbitrarietà”.
Non sembra proprio che il ricalcolo retroattivo, permanente e inteso quale stabile “meccanismo di alimentazione del sistema previdenziale” vada nel senso indicato dalla Corte.