NOTA DELL’ASSOCIAZIONE SUI RICORSI ALLA CAMERA II - AGGIORNAMENTO
(I documenti sono pubblicati in fondo alla nota: NOTA II; Sentenza 2/2021/CG; Ricorso di Appello Camera)
Vitalizi. Sulla mitigazione è “lite continua” tra Presidenza e Consiglio di Giurisdizione
In una nota del 23 marzo scorso sullo stato dei ricorsi alla Camera dei Deputati contro il ricalcolo retroattivo dei vitalizi disposto dalla delibera 14/2018, impugnata da oltre 1400 ex deputati, davamo conto dello stallo in cui è finito il contenzioso, interamente monopolizzato dal tema della mitigazione (art 1, c. 7 della del. 14/2018), e dalla trasformazione di una questione di diritti illegittimamente conculcati in una questione socio-assistenziale (https://www.ilparlamento.eu/nota-dellassociazione-sui-ricorsi-alla-camera/). Da allora, la situazione si è ulteriormente complicata, nessun passo avanti è stato fatto sulla questione di diritto principale, il conflitto tra Ufficio di Presidenza (UP) e Consiglio di Giurisdizione (CG) si è aggravato e lo stallo sul tema della mitigazione si è ulteriormente ingarbugliato. Vediamo che cosa è successo. Dalla fine del marzo scorso le novità sono sostanzialmente due:
- una nuova Sentenza parziale del Consiglio di Giurisdizione, la n. 2/2021/CG, pubblicata il 15 aprile 2021;
- il Ricorso in appello da parte dell’Avvocatura per conto dell’UP avverso la sentenza 2/2021/CG presso il Collegio di Appello (CA) perché sia annullata o riformata, presentato in data 17 maggio 2021.
La Sentenza 2/2021, di cui l’UP-Camera chiede l’annullamento e sospensione dell’esecuzione, riguarda i casi di 35 ricorrenti (ex deputati o titolari di assegni di reversibilità), ad esito di un procedimento complesso che riassumiamo riprendendo la sintesi contenuta nella sentenza 2/2021, al punto Diritto 1.1. (pag. 18):
“1.1. La Situazione che risulta dalla disamina degli atti, meglio illustrata in fatto, può essere riassunta come appresso:
- circa millequattrocento deputati cessati dal mandato e loro aventi causa hanno censurato innanzi a questo Consiglio la rideterminazione degli assegni vitalizi nel suo complesso, impugnando la delibera dell’Ufficio di Presidenza n. 14/2018 con ricorsi depositati a partire dal luglio 2018. Tali ricorsi furono a suo tempo riuniti per connessione oggettiva. Nell’ambito del relativo giudizio il Consiglio ha sinora depositato la sentenza non definitiva n. 2/2020/CG, che concerne, oltre ad alcune statuizioni processuali, la (sola) materia delle misure di mitigazione delle riduzioni degli assegni vitalizi (articolo 1, comma 7, della delibera impugnata);
- poiché la sentenza n. 2/2020/CG aveva statuito in senso complessivamente più favorevole ai ricorrenti, circa cinquecento di loro (secondo la quantificazione indicata dalla resistente) hanno chiesto in più tempi l’applicazione della sentenza;
- poiché in un primo momento l’Ufficio di Presidenza non aveva riscontrato tali richieste, a partire dal 24 luglio 2020 circa trecentotrenta interessati (oltre duecentotrenta dei quali sono promotori del ricorso n. 57/2020/CG) hanno impugnato con autonomi gravami il silenzio formatosi sulle istanze di cui alla lettera b); a partire dal 23 ottobre 2020 quasi tutti hanno inoltre formulato istanze cautelari;
- di questi ultimi, 37 istanti hanno visto accogliere le proprie domande cautelari dal Consiglio di giurisdizione, con altrettante ordinanze emanate tra il 15 ottobre 2020 e il 21 gennaio 2021 (trentasei ordinanze sono poi state oggetto d’impugnazione: di queste, ventisei sono state annullate, sette confermate e le restanti riformate dal Collegio d’appello);
- frattanto l’Ufficio di Presidenza aveva modificato i criteri di mitigazione con la propria delibera 92/2020 (approvata il 5 novembre e depositata agli atti il 23 novembre 2020), e conseguentemente accolto, in data 5 e 26 novembre 2020, le domande di settantanove istanti di cui alla lettera b). Questi ultimi coincidono solo in parte con i destinatari delle ordinanze cautelari di cui alla lettera d): nei casi in cui coincidono, l’importo di cui l’Ufficio di Presidenza ha disposto l’erogazione è sempre inferiore a quello previsto dalle ordinanze cautelari del Consiglio;
- la modifica dei criteri di mitigazione disposta dalla delibera 92/2020 è stata impugnata, con atti di motivi aggiunti depositati tra il 3 dicembre 2020 e il 13 gennaio 2021 da oltre trecento ricorrenti di cui alla lettera c) e in particolare da trentacinque dei ricorrenti di cui alla lettera d). Sono questi ultimi, quindi, i promotori-attori dell’attuale fase processuale: in tale qualità sono specificamente individuati nell’epigrafe della presente sentenza (l’individuazione della loro controparte non pone ovviamente particolari questioni).”
Premessa tale ricostruzione, le questioni di diritto che la sentenza si propone di dirimere sono tre:
- le eccezioni di inammissibilità del ricorso originario presentate dall’Amministrazione della Camera;
- il vaglio di legittimità delle nuove misure di mitigazione previste dalla delibera dell’UP 92/2020 e dalle delibere attuative 93 e 96/2020;
- la valutazione della prevalenza o meno delle misure individuali, più favorevoli per il ricorrente, che il CG aveva assunto con l’ordinanza cautelare 3/2020, anteriore alle delibere e non impugnata.
La Sentenza 2/2021/CG respinge le “eccezioni di inammissibilità” dell’Amministrazione della Camera e accoglie buona parte delle richieste dei ricorrenti (ma non quella di ripristinare gli importi dei vitalizi anteriori alla delibera di ricalcolo) e censura la revisione dell’art. 1, c. 7 della delibera 14/2018 decisa con la delibera 92/2020, ritenendola sostanzialmente non conforme alle direttive contenute nella sentenza 2/2020 che ne aveva ordinato la riscrittura.
Vediamo, in particolare, gli argomenti con cui il CG “smonta” la delibera 92/2020 dell’UP che avrebbe dovuto recepire la sentenza 2/2020/CG e che, invece, secondo lo stesso CG, la disattende.
Citiamo, in proposito, in Diritto la prima parte del paragrafo 3.2. della sentenza (pagg. 27-28):
“3.2. Così ultimata la ricognizione del quadro normativo, questo Consiglio di giurisdizione deve ora procedere alla valutazione di legittimità dei contenuti della delibera n. 92/2020, sollecitata con i motivi aggiunti individuati in epigrafe.
E’ opportuno preventivamente enunciare i criteri generali cui conformare tale valutazione: che ad avviso di questo giudice consistono:
a) nella valenza specifica delle finalità che le misure di mitigazione intendono perseguire. Le misure sono difatti intese a tutelare le esigenze vitali dei percettori dei trattamenti: intendendosi, con questa espressione sintetica, il richiamo a tutte le esigenze connesse ai valori dell’esistenza, della salute, del mantenimento individuale e familiare, da assicurare procurando mezzi adeguati per un’esistenza libera e dignitosa. Tali valori, considerati dagli articoli 2, 3, primo comma, 32, 36, primo comma, e 38, primo e secondo comma, della Carta, beneficiano di una protezione costituzionale anche più intensa di quella accordata agli ulteriori, pur rilevanti profili (quali quelli patrimoniali in senso stretto) sottesi alla rideterminazione dei vitalizi, che questo Consiglio valuterà in sede di scrutinio dei restanti profili di legittimità della delibera n. 14/2018. E’ corollario di tale criterio la necessità che le attribuzioni al riguardo dell’Ufficio di Presidenza, o comunque dell’organo preposto alla valutazione delle situazioni individuali, si configurino non come facoltative, bensì come doverose;
b) nella conseguente necessità che, in sede di valutazione della condizione individuale di ciascun richiedente (valutazione che, come si è accennato e meglio si dirà, comporta di regola l’emanazione di singoli provvedimenti amministrativi), siano considerati meritevoli di tutela anche casi quali quelli di seguito riportati a titolo di mero esempio (per i quali la casistica esaminata dal Consiglio ha sinora quasi sempre integrato la “grave (...) compromissione delle condizioni di vita personale o familiare”, di cui al comma 7-sexies della delibera 92/2020):
- il caso in cui un’invalidità pur inferiore al 100% o non quantificata determini ugualmente la necessità di assistenza continuativa o significativa in termini di tempo;
- il caso in cui l’invalidità abbia colpito un familiare, con i medesimi effetti;
- il caso in cui in cui il percettore sia tenuto al mantenimento dei figli o dell’ex coniuge,
- il caso in cui il percettore sia tenuto a corrispondere un canone di locazione per l’abitazione principale;
- il caso in cui il percettore sia tenuto all’adempimento di obbligazioni, quali il pagamento di rate di mutuo, derivanti da impegni contratti anteriormente all’entrata in vigore della delibera n. 14/2018;
c) nella necessità che, valutando le istanze di mitigazione, l’Ufficio di Presidenza o comunque l’organo a ciò preposto abbia una facoltà quanto più possibile ampia di adattare l’importo e la consistenza delle misure a ciascuna fattispecie; conseguentemente che non si prevedano limiti massimi, e neppure minimi, dei relativi incrementi e importi, e più in generale che la relativa modulazione possa essere adattata ai casi singoli senza il vincolo di un importo predeterminato;
d) nella necessità che, in tutti i casi nei quali non ricorra l’esigenza di applicare i criteri di cui alle precedenti lettere a), b) e c), la determinazione dell’importo e della consistenza delle misure di mitigazione tenga conto del necessario principio di proporzionalità: proporzionalità da riferire, in particolare, agli importi percepiti anteriormente all’entrata in vigore della delibera n. 14/2018. La rilevanza sia sistematica sia concreta del criterio della proporzionalità, con i relativi effetti sulla ragionevolezza delle relative norme, è infatti costantemente richiamata dalla Corte costituzionale, in una serie di pronunce (al riguardo univoche pur nella diversità degli esiti: ex multis si vedano le sentenze 116/2013, 173/2016, 108/2019), che culminano nello speciale rilievo attribuito al principio di proporzionalità dalla recente decisione n. 234/2020.”
A partire dai criteri enunciati, il CG osserva, concludendo la disamina, che “le misure di mitigazione sono disposte in riferimento ad esigenze vitali, le quali, come parimenti si è visto, richiederebbero l’estensione della potestà di incremento sino a eventualmente sterilizzare del tutto la rideterminazione di cui alla delibera 14/2018 (e quindi, sino alla concorrenza dell’importo anteriore).” Avviene invece il contrario, come si osserva nel prosieguo della sentenza: “Anche in tale caso, l’irragionevolezza della soluzione prescelta è accentuata dall’assenza di proporzionalità del meccanismo generale di rideterminazione (quello previsto dall’impianto complessivo della delibera n. 14/2018), e della conseguente, diversa incidenza delle riduzioni a parità di importo, che frequentemente si verifica”. In sostanza, si imputa all’UP di essersi auto-imposto limiti e vincoli irragionevoli che non gli permettono di valutare, come dovrebbe, i singoli casi, in base alle “esigenze vitali” di ciascuno e ai valori costituzionali da considerare, ma anzi di aggravare i difetti di base della delibera 14/2018, viziata in radice da irragionevolezza e mancanza di proporzionalità.
L’art 1, c. 7 della delibera 14/2018 andrebbe sostanzialmente riscritto, secondo il CG.
Ma l’UP ha reagito in modo piuttosto risentito e, anziché accettare la sentenza parziale n. 2/2021/CG, come aveva fatto con la prima sentenza n. 2/2020/CG, ne ha richiesto l’annullamento in sede di appello. Il Collegio d’Appello ha 80 giorni per decidere. Intanto, tutte le pratiche di incremento dei vitalizi ricalcolati sono praticamente ferme perché non si sa bene a quali norme appellarsi e quali norme applicare e perché comincia a farsi strada l’evidenza che senza risolvere il problema principale della legittimità di fondo della delibera 14/2018, come si evince dalle motivazioni più sopra riprese nonché dalle ragioni con cui è stata confermata l’ordinanza 3/2020/CG, non sarà per la via traversa delle mitigazioni che si verrà a capo delle storture, delle irragionevolezze e della mancanza di proporzionalità che inficiano sotto più profili l’impianto di ricalcolo retroattivo su base sedicente contributiva dei vitalizi secondo il disposto della delibera 14/2018.
E vediamo ora in dettaglio che cosa ha deciso la sentenza 2/2021/CG nel suo dispositivo e, a seguire, quali sono i motivi dell’appello.
I – LA SENTENZA 2/2021:
La Sentenza 2/2021 riunisce i ricorsi e “accoglie parzialmente le impugnative” alla delibera 14/2018 come integrata dalla delibera 92/2020, per cui (in neretto il testo del dispositivo della sentenza e tra parentesi la spiegazione, ndr):
- annulla il comma 7-bis dell’articolo 1, nella parte in cui preclude l’eventuale corresponsione degli incrementi di cui alle lettere a) e b) del medesimo comma in misura superiore ai valori in esse indicati; (si tratta della cassazione del limite dell’incremento del 50% per chi si trova in condizioni di bisogno e di chi soffre di gravi patologie ovvero della cassazione del limite dell’incremento del 40% per chi possieda uno solo dei requisiti richiesti per la mitigazione);
- annulla il comma 7-ter dell’articolo 1; (si tratta della norma che dice che l’ammontare del vitalizio incrementato sulla base dei requisiti previsti non può comunque essere superiore al 75% di quanto ricevuto prima del ricalcolo);
- annulla il comma 7-quater dell’articolo 1; (si tratta delle riduzioni percentuali tra il 10% e il 50% del vitalizio incrementato quando l’ammontare annuo dell’assegno è compreso tra 60-70.000, 70-80.000, 80-90.000, 90-100.000 e oltre 100.000 euro);
- annulla il comma 7-quinquies dell’articolo 1, limitatamente alle parole “a decorrere dalla data della prima domanda di incremento presentata dagli interessati ovvero, se successiva a quella della prima istanza”; (si tratta di un’estensione della data da cui fare decorrere gli incrementi del vitalizio in caso di riconoscimento del beneficio che deve essere riconosciuto a partire dalla data per cui esistono i presupposti e non dalla data di presentazione della domanda);
- annulla il comma 7-sexies dell’articolo 1, nella parte in cui non prevede che l’Ufficio di Presidenza della Camera assuma comunque misure, anche atipiche, di mitigazione delle rideterminazioni dei trattamenti effettuati ai sensi della propria delibera n. 14/2018, in esito alle proposte formulate dal Collegio dei deputati Questori con riferimento a singole specifiche situazioni individuali; (si riferisce al punto che lascia alla discrezionalità dell’Ufficio di Presidenza la decisione se adottare o meno misure di mitigazioni nei casi in cui “si sia determinata una grave e documentata compromissione delle condizioni di vita personale o familiare di chi abbia fatto comanda”;
- annulla altresì, per invalidità derivata dalle statuizioni che precedono, le deliberazioni dell’Ufficio di Presidenza della Camera n. 93 e 96/2020, relativamente alle decisioni concernenti gli odierni ricorrenti e comunque facendo salvi, ai sensi di cui in motivazione, gli effetti anche futuri delle misure di mitigazione disposti dalle predette delibere; (in sostanza gli incrementi riconosciuti in base alle delibere di attuazione della delibera 92/2020 di revisione dell’art. 1, c. 7 , restano in vigore nonostante il sostanziale annullamento della norma rivisitata, mentre, in caso di sovrapposizione, ai ricorrenti a cui la sentenza 2/2021 abbia riconosciuto un trattamento più favorevole rispetto a quello loro riconosciuto dalle delibere invalidate continuerà a essere riservato il trattamento più favorevole);
- conferma l’efficacia della propria ordinanza cautelare n. 3/2020/CG sino alla conclusione del giudizio concernente la legittimità della predetta deliberazione n. 14/2018; (si tratta di un singolo caso per il quale il CG ha riconosciuto in via cautelare, a fare data dal 15 ottobre 2020, prima della delibera normativa 92/2020, la corresponsione del vitalizio ricalcolato incrementato al 75% della somma percepita prima della delibera 14/2018 e a partire 1° Gennaio 2019, data di entrata in vigore della delibera stessa. Il CG ha confermato la sua decisione in contrasto con le determinazioni dell’UP che, annullando di fatto l’ordinanza cautelare, faceva valere l’applicazione di una rideterminazione del vitalizio, meno favorevole, sulla base delle delibere 92 e 93/2020, peraltro impugnate dal ricorrente che rivendicava il rispetto della “proporzionalità” del ricalcolo effettuato dal CG).
- rinvia al definitivo la decisione sulle spese del presente giudizio.
II- “RICORSO IN APPELLO” DELL’UFFICIO DI PRESIDENZA DELLA CAMERA
L’Avvocatura della Camera dei Deputati, per conto dell’Ufficio di Presidenza, chiede al Collegio di Appello che:
- la Sentenza 2/2021/CG sia annullata o riformata, previa sospensione dell’esecutività;
- i ricorsi siano rigettati in quanto inammissibili e/o infondati;
- sia dichiarata inammissibile o comunque rigettata la richiesta di conferma dell’ordinanza cautelare n. 3 del 2020/CG.
L’Avvocatura svolge in DIRITTO i seguenti argomenti critici alle determinazioni del Consiglio di Giurisdizione (in grassetto formulazioni del ricorso, tra parentesi note esplicative con citazioni tra virgolette in corsivo del ricorso stesso, ndr):
- Violazione e falsa applicazione dell’art. 36, c. 2, c.p.a. (codice di procedura amministrativa, ndr), e del principio che stabilisce l’immodificabilità e l’efficacia vincolante, in sede di prosecuzione del giudizio, delle sentenze non definitive. (In sostanza si sostiene che il CG, in violazione delle norme generali che disciplinano il procedimento e, in particolare, le sentenze non definitive, ha “cambiato le carte in tavola” e introdotto nuovi criteri e nuovi parametri…)
- Violazione e falsa applicazione degli articoli 33 e 36 cpa. (Al di là della formulazione tecnica, si tratta di un punto di attacco centrale, in quanto l’UP sostiene che la sentenza 2/2020 viene mutata in profondità e impropriamente dalla sentenza 2/2021 in modo tale “che va ben oltre la disciplina dell’incremento a favore delle fasce deboli e coinvolge l’intero impianto della riforma”, poiché quando il CG afferma che tra i principi da rispettare nel valutare la delibera 14/2018 vi sarebbe anche “quello della proporzionalità rispetto al reddito originario, non solo enuncia un criterio non contenuto nella sentenza 2/2020 e in contrasto con la ratio del comma 7, ma finisce col porre in discussione i cardini dell’intera riforma fondata sull’applicazione del sistema contributivo”.
- Eccesso di potere giurisdizionale – violazione dei limiti di legittimità delle sentenze di carattere additivo individuati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. (Si argomenta che il giudice di primo grado, attraverso indicazioni non contenute nella precedente sentenza non definitiva, “sostanzialmente si sostituisce all’Ufficio di Presidenza (…) esorbitando così in modo evidente dall’ambito delle sue attribuzioni”.
- Difetto, insufficienza, erroneità, irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione. (L’UP ribadisce la presunta contraddittorietà delle sentenze parziali 2/2020 e 2/2021 e riscontra una specie di “voltafaccia” del CG rispetto alla prima sentenza nella quale aveva mostrato di apprezzare “il condivisibile intento (non esplicitato nel testo della delibera 14/2018 e nelle relative motivazioni, ma chiaramente da essa desumibile) di utilizzare la notorietà e il prestigio dell’Istituzione parlamentare per rappresentare al Paese che anche i deputati cessati dal mandato partecipano all’esigenza generale di utilizzare le risorse pubbliche con rigorosa oculatezza”. L’UP lamenta che il CG voglia condurre la Camera ad affrontare le richieste di mitigazione caso per caso, senza parametri certi, come nel caso della fattispecie del “grave pregiudizio delle condizioni di vita”, e del richiamo al tema della “proporzionalità”, dando luogo a una serie di “argomentazioni che sembrano dimenticare sia il senso complessivo della riforma del 2018, sia la ratio della normativa sugli incrementi, espressamente concepita come una deroga alla rigida applicazione del sistema contributivo”. In sintesi, riassume l’Avvocatura per l’UP: “Conclusivamente, mentre la sentenza non definitiva 2/2020, pur ampliando il novero dei possibili beneficiari dell’incremento previsto dal comma 7 dell’articolo 1, ne rispettava la ratio e risultava inquadrabile nell’ambito della riforma del 2018, la sentenza n. 2 del 2021, si distacca da questa prospettiva, con un decisum e una motivazione che appaiono incompatibili con l’impianto della delibera 14/2018.”)
- Inammissibilità dei ricorsi avverso il silenzio. (L’Avvocatura chiede che venga riconosciuto, diversamente da quanto ha fatto il CG, l’inammissibilità dei ricorsi avverso il “silenzio” dal momento che la normativa introdotta con la delibera 92/2020/UP era necessaria e invalidava i motivi dei ricorsi sul punto).
- Quanto alla disposta conferma dell’ordinanza cautelare n. 3 del 2020/CG: violazione e falsa applicazione delle norme processuali sugli effetti delle pronunce cautelari – illogicità della motivazione. (In proposito, l’Avvocatura sostiene che l’ordinanza 3/2020 avrebbe dovuto perdere efficacia con l’intervento delle delibere 92 e 93/2020 che avevano definito le nuove norme di mitigazione e la loro applicazione anche a favore del ricorrente. Non riconoscendo tale dato di fatto, e facendo valere la mancata impugnazione dell’ordinanza cautelare in questione da parte dell’UP, il CG si sarebbe comportato in modo tale da violare norme e principi del procedimento amministrativo).
- Istanza cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata. (A parere dell’Avvocatura, dalla mancata sospensione dell’esecutività della sentenza, “nelle more di una definitiva decisione di codesto Giudice d’appello sulla conformità a Costituzione della normativa in questione, deriverebbero all’interesse pubblico a all’attività dell’Amministrazione gravi pregiudizi”. In sostanza, verrebbe meno la certezza del diritto “in una materia rilevante e delicata qual è quella del trattamento previdenziale spettante agli ex deputati”. L’Avvocatura nota come peraltro sia singolare che sia prevista l’esecutività di una sentenza di primo grado non ancora definitiva e che, per di più, l’adozione di criteri diversi di incremento del vitalizio da parte del CG, tramite le ordinanze cautelari, rispetto a quelli adottati dall’UP con la del. 92/2020, hanno determinato “una stratificazione di una pluralità di precetti, recanti contenuti diversi…” Se gli effetti della sentenza 2/2021 non fossero sospesi, osserva l’Avvocatura, tutta l’attività istruttoria di mitigazione finora compiuta verrebbe invalidata e si dovrebbe procedere a nuove istruttorie sulla base di nuovi e non ben definiti criteri. A sostegno di tale richiesta, si osserva che comunque andassero le cose non vi sarebbe “un danno grave e irreparabile” per i ricorrenti in quanto “la sentenza del Collegio di Appello interviene al massimo entro ottanta giorni dall’atto di impugnazione”.
Questo è lo “stato dell’arte”. Anziché pronunciarsi in modo chiaro sulla legittimità costituzionale di un provvedimento che ha violato i principi di affidamento, di ragionevolezza e proporzionalità, e porre così le basi per il suo annullamento o la sua riscrittura, Ufficio di Presidenza e Giudici interni si sono impegnati in una lite sulla “mitigazione” che più si sviluppa e più dimostra l’impossibilità di definire criteri soddisfacenti ed esaustivi per fare fronte agli effetti devastanti di un provvedimento adottato con spirito punitivo, scarsa competenza tecnica e totale mancanza di riguardo della dignità delle persone coinvolte (e come non definire “esigenza vitale”, richiamata dal Consiglio di Giurisdizione, il rispetto della dignità?). Il risultato è la paralisi. Se la mitigazione doveva rimediare surrettiziamente alle enormità di una misura che arrivava a tagliare fino all’80% dei vitalizi degli interessati, il risultato è che non si trovano criteri abbastanza chiari per fare fronte ai vari casi che si presentano e che, mentre il CG chiede di allargare le maglie, l’UP si dà da fare per restringerle, mentre gli interessati, oggetto di questo ping-pong, usano gli strumenti legali a disposizione per difendersi, arrivando al punto che, finalmente, anche il CG scopre che c’è un problema di “proporzionalità” e che più qualcuno è stato penalizzato meno potrà contare sulla mitigazione, cosicché si finisce per sollecitare soluzioni caso per caso e si chiede di tenere conto dell’intero contesto di vita delle persone coinvolte, che non dovrebbero subire penalizzazione ingiuste nella dignità e nella libertà. Ma se è così, è evidente che la mitigazione è la strada sbagliata per raddrizzare un percorso storto. Il problema, scrive l’UP nel ricorso al CA, non è più venire incontro alle “fasce deboli” bensì la legittimità dell’impianto della delibera di ricalcolo dei vitalizi e della filosofia di rivederli secondo il metodo contributivo e per dare l’esempio al popolo… Hanno perso il bandolo della matassa.
In sintesi, e per concludere, quello che sta succedendo alla Camera è indecente e indecoroso. Lo ripetiamo. Una questione di diritto è stata trasformata in una questione assistenziale. I giudici si riducono a “sensali” di un avvilente “mercato del bisogno”, in cui il cinismo di chi non vuole vedere e riconoscere nemmeno gli effetti più indifendibili del suo fervore punitivo si accompagna all’imposizione dell’umiliazione dei ricorrenti costretti a sottoporsi a scrutini impietosi e indifferenti della dignità e dei meriti di persone che hanno avuto il solo torto di rappresentare la Nazione e di servire la Repubblica, credendo nell’affidabilità delle sue istituzioni democratiche.
Roma, 10 giugno 2021