Referendum: NO in difesa del regionalismo e dei valori dei padri costituenti - di Paolo Franco

Referendum: NO in difesa del regionalismo e dei valori dei padri costituenti - di Paolo Franco

Referendum: NO in difesa del regionalismo e dei valori dei padri costituenti – di Paolo Franco

Nell'intervento, che pubblichiamo qui di seguito, Paolo Franco, membro del Consiglio direttivo dell'Associazione degli ex parlamentari, illustra il suo NO al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari e spiega perchè la "riforma" tradisce i principi di quel regionalismo che, in chiave antifascista, i padri costituenti vollero che fosse uno dei fondamenti della Costituzione repubblicana. Ecco l'articolo:

Referendum Costituzionale: il mio NO per regionalismo, autonomie e sussidiarietà

di Paolo Franco

Sulla riduzione del numero dei parlamentari molto si è detto, anche se la commistione tra referendum confermativo della legge di riforma costituzionale e le elezioni regionali e amministrative è quanto di più deleterio possa esistere perché i cittadini siano in grado di conoscere ed esprimersi serenamente. Infatti le regole fondamentali – a maggior ragione quelle espresse nella Costituzione – devono appartenere alla cultura della democrazia e non essere coinvolte nelle contrapposizioni politiche o programmatiche che sono proprie della competizione elettorale. Ora, però, voglio proporre alcune riflessioni su un tema che viene dato per scontato senza purtroppo cogliere il significato che assume in relazione alla riduzione del numero dei parlamentari. Mi riferisco agli interventi legislativi successivi all’esito referendario nel caso in cui questo risultasse positivo, e ad uno in particolare che risulta già incardinato nella Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati. Si tratta delle modifiche costituzionali “in materia di base elettorale per l’elezione del Senato della Repubblica”. Nella relazione al testo di riforma si sostiene che l’approvazione della revisione costituzionale del numero dei parlamentari “determinerebbe, in assenza di ulteriori interventi legislativi e costituzionali, la formazione di collegi uninominali eccessivamente estesi (per il Senato si giungerebbe fino a un milione di abitanti per collegio) e un’accentuata discrasia tra le regioni nel rapporto tra seggi da assegnare e popolazione media”. Questa affermazione è per sé stessa ammissione del problema di rappresentatività territoriale che un numero ridotto di deputati e senatori comporta. Oltre a questo, a mio avviso per mancanza di conoscenza da parte dei promotori delle motivazioni che portarono nel dopoguerra i Costituenti ad elaborare il testo in vigore, per “risolvere” il problema della rappresentatività del Senato verrebbero creati degli ambiti territoriali indefiniti: le circoscrizioni. Queste saranno determinate per legge ordinaria e delimiteranno le nuove aree sovraregionali da considerare per l’elezione dei senatori. Così verrebbe meno la rappresentatività regionale degli eletti minando uno dei cardini dell’architettura della nostra Costituzione la quale, all’art. 57, prevede che il Senato della Repubblica sia eletto a base regionale. Dobbiamo sapere che i Costituenti stabilirono il numero di parlamentari e le modalità di rappresentatività elettorale delle Camere come li conosciamo oggi, in conseguenza dell’esperienza della lunga dittatura fascista che aveva ridotto il Parlamento ad assemblea di fedeli nominati e i territori succubi di podestà e prefetti. Le due riforme in discussione, quella soggetta a referendum e quella in itinere, cancellano i princìpi che la Resistenza aveva voluto indicare come valori comuni e condivisi nella costruzione dell’Italia democratica. Più della metà degli eletti all’Assemblea costituente il 2 giugno 1946 provenivano dalle fila di coloro che avevano sofferto e combattuto il fascismo dopo la caduta di Mussolini, membri dei Comitati di Liberazione Nazionale o combattenti tra i partigiani. Gettare al macero la loro esperienza su alcuni punti essenziali per la democrazia significa abbandonare il Paese ai venti più insidiosi. La valorizzazione del regionalismo, delle autonomie e della sussidiarietà, parti integranti della Costituzione, non può essere distinta dalla rappresentanza parlamentare. Si tratta di un unico complesso patrimonio di democrazia ed efficienza nell’amministrazione della cosa pubblica ed eroderlo, peggio ancora se in maniera subdola a solo vantaggio dell’immediato presente politico, è una miopia che costerà cara nel tempo.

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