Sembra procedere con passo spedito la proposta di legge costituzionale che prevede una drastica riduzione della rappresentanza parlamentare con il taglio dei componenti della Camera (da 630 a 400) e del Senato (da 315 a 200). Si tratta di un progetto tanto facilmente popolare quanto improvvido e sbagliato, secondo l'opinione di Enzo Palumbo - ex senatore, avvocato e importante esponente della cultura liberale -, di cui pubblichiamo qui di seguito un'approfondita analisi:
IL TAGLIO DEI PARLAMENTARI E L'ESULTANZA DEGLI AUTOLESIONISTI
Quos Deus perdere vult, dementat prius!
di Enzo Palumbo
La Camera dei Deputati, dopo l’approvazione del Senato, si appresta a dare il via libera alla prima lettura del ddl costituzionale che intende ridurre il numero dei deputati da 630 a 400 e quello dei senatori da 315 a 200.
Al Senato si sono già pronunziati a favore, oltre ai gruppi di M5S e Lega, anche quelli di Forza Italia e Fratelli d’Italia, ed è presumibile che altrettanto faranno alla Camera, senza neppure provare a introdurre qualche ragionevole emendamento rispetto al testo del Senato.
Se così sarà, risulterà completata la prima lettura prevista per ogni riforma costituzionale e la seconda, quella definitiva, avverrà dopo la moratoria trimestrale, nel testo già approvato, senza possibilità di introdurre alcun emendamento; insomma prendere o lasciare, e pur sempre a maggioranza assoluta. Vedremo!
E se gli stessi partiti che l’hanno già votato in prima lettura, faranno altrettanto anche nella seconda, la riforma passerà con la maggioranza dei due terzi, così impedendo il referendum oppositivo, che ovviamente, coi tempi che corrono e col vento di antipolitica che soffia nel Paese, si tradurrebbe probabilmente in un bagno di sangue per i promotori.
Il che non toglie che il taglio dei parlamentari sia una solenne stupidaggine, offerta da M5S e Lega, con la supina acquiescenza di FI e FdI, al mostro del populismo in salsa italica, non molto diverso da quello che si è introdotto in molti paesi europei, ma ancor più pericoloso perché è riuscito a portare al governo partiti che altrove ne risultano per lo più esclusi.
Con questa riforma non si aumenta l’efficienza del Parlamento, che già oggi, se il governo gli lasciasse fare il suo mestiere, faticherebbe a tenere dietro alle sue tante incombenze, ma se ne diminuisce solo la capacità rappresentativa.
È appena il caso di ricordare che la composizione delle Camere nel numero ancora oggi attuale di 630 deputati e 315 senatori è stata stabilita nel 1948, quando la popolazione italiana era di 35 milioni, mentre oggi gli italiani sono 60 milioni, per cui la capacità rappresentativa del Parlamento nel tempo è già drasticamente diminuita, passando da un rapporto di 1 a 35.000 a 1 a 60.000.
I collegi elettorali di Camera e Senato, che già oggi sono sin troppo grandi, diverranno enormi, sicché i costi delle campagne elettorali lieviteranno oltre misura, mentre sarà impossibile l’effettiva conoscibilità dei candidati da parte degli elettori, che è uno dei requisiti essenziali di un sistema democratico, come ha stabilito la Corte Costituzionale quando, con la sentenza n. 1-2014, ha dichiarato la parziale incostituzionalità della L. 270-2005 (il c. d. porcellum).
Se e quando sarà approvata, questa riforma, accompagnandosi a quella del 2011 – che ha portato alla sostanziale equiparazione dei vitalizi parlamentari alle pensioni ordinarie (quasi che i parlamentari fossero impiegati statali e non già rappresentanti della Nazione e tutori delle nostre libertà) – e a quella elettorale del 2017 – che ha introdotto il voto congiunto obbligatorio (per liste circoscrizionali e candidati uninominali di collegio) e le liste circoscrizionali rigide (senza preferenze) – metterà nelle mani dei leader di partito, ancor più di oggi, la scelta dei parlamentari di domani.
Se poi si aggiungeranno le altre riforme in itinere, a cominciare dal taglio delle indennità parlamentari e dall’introduzione del mandato imperativo, l’inevitabile conclusione sarà che avremo pochi parlamentari, nominati dai rispettivi capipartito e ai loro ordini, pagati male, senza garanzie per il futuro; in breve, il trionfo della partitocrazia, anzi della leadercrazia.
E se poi si aggiungeranno anche i vincoli nascenti dal combinato disposto tra proposte di legge d’iniziativa popolare e referendum propositivo, lo stesso ruolo del Parlamento risulterà degradato a quello del passacarte, cui spetterà di mettere un timbro di apparente legalità sulle scelte altrui.
Chi condivide queste riforme sarà il principale responsabile dell’espropriazione dei diritti elettorali dei cittadini e del definitivo declino dell’istituzione parlamentare, già da tempo avviato con la tagliola governativa costituita dal combinato disposto tra decretazione di così detta urgenza (che spesso neppure c’è), mostruosi maxiemendamenti (che vanificano il lavoro delle Commissioni) e innumerevoli voti di fiducia, in materie che meriterebbero invece un’approfondita e libera discussione parlamentare.
Ma altrettanto responsabile sarà chi, anche senza condividerle, consentirà che queste deformazioni costituzionali vadano in porto, non avendo il coraggio di opporsi a questa deriva populistica per timore di essere additato al pubblico ludibrio dal conduttore di turno di uno dei tanti talk-show, dove chi grida più forte contro la c. d. “casta” viene sommerso dagli applausi, qualunque cosa dica, mentre chi prova a ragionare pacatamente viene accolto dall’ostile silenzio del pubblico.
Emblematico è il caso che nei giorni scorsi ha coinvolto il sen. Zanda, vilipeso dai fustigatori del web in servizio permanente effettivo per avere osato proporre che le indennità parlamentari fossero parametrate su quelle dei parlamentari europei, e non già per aumentarle, com’è stato subito accusato di voler fare, ma piuttosto per renderle più trasparenti e per sottrarle all’arbitrio e al ricatto della maggioranza e del governo di turno.
Una riforma, questa si, di genuino stampo europeista, che neppure i sedicenti europeisti del PD e quelli che si aggirano nei suoi dintorni hanno avuto il coraggio di sostenere a viso aperto, sperando forse di potersi così ingraziare uno scampolo di favore popolare, che, fra i populisti timidi e occasionali e quelli ostentati e permanenti preferisce ovviamente questi ultimi.
A Zanda, sostanzialmente abbandonato dal suo stesso partito, va l’augurio di potersi prendere un minimo di soddisfazione in sede giudiziaria, come ha detto di voler fare, nei confronti di chi l’ha ferocemente attaccato per avere osato fare il contrario di ciò che usa fare, pro bono pacis, la politica politicante dei suoi colleghi.
E mi viene di pensare al buon Manzoni quando, scrivendo della peste di Milano e della diceria degli untori che l’avrebbero diffusa ungendo le case di materiale infetto, immaginava che le persone di buon senso non potessero credere a quella fandonia, e tuttavia concludeva sconsolato che il buon senso, se anche c‘era, se ne stava ben nascosto per paura del senso comune.
Un riferimento letterario che, con l’occhio lungo del politico di gran classe, è stato riportato all’attualità dal Presidente Mattarella nel corso della cerimonia del ventaglio dello scorso anno.
Il vero problema non è che i populisti facciano il loro mestiere, è piuttosto che i democratici e i liberali non facciano il loro, preferendo accodarsi, per pavidità o altro biasimevole motivo, al coro di chi grida al povero untorello di turno, che sia Zanda o altri, mentre tutti insieme, raro esempio di incosciente autolesionismo, sono entusiasticamente impegnati a segare il ramo della democrazia parlamentare su cui stanno seduti.
E, a questo punto, mi viene anche di pensare, si parva licet componere magnis, alla pavidità della classe politica liberale del primo dopoguerra, che, pur essendo di ben altro livello, e salve rare eccezioni pagate con la vita o con l’ostracismo, non si oppose per paura o quieto vivere alla resistibile ascesa del fascismo, o addirittura la favorì sperando di servirsene.
Quos Deus perdere vult, dementat prius!
PALUMBO IL TAGLIO DEI PARLAMENTARI E L'ESULTANZA DEGLI AUTOLESIONISTI