Riflessioni sulla relazione del Presidente Gargani, di Giampaolo Sodano

Riflessioni sulla relazione del Presidente Gargani, di Giampaolo Sodano

Riflessioni sulla relazione del Presidente Gargani, di Giampaolo Sodano

Nelle prime dieci righe della relazione che il Presidente Gargani ha fatto il giorno 18 giugno all'assemblea dei soci è indicata chiaramente, sulla base di una interpretazione corretta e sostanziale dello Statuto, una svolta nella nostra attività “non un carattere sindacale o di rivendicazione ma un carattere istituzionale di presenza sul piano politico come difensori dell'Autonomia e dell'indipendenza del nostro essere stati rappresentanti delle istituzioni e della comunità civile". E in questo contesto il Presidente Gargani ha richiamato l'assemblea ad affrontare la questione centrale della attuale situazione politica e cioè "la democrazia è debole e c'è chi dà per scontato il suo logoramento e il suo esaurimento".

Stiamo vivendo anni difficili. L’accelerazione dei processi di trasformazione mettono in discussione le stesse forme della convivenza. La democrazia, come l’abbiamo consolidata nella Costituzione, è lesionata e la fiducia nei partiti politici è al minimo storico come dimostra la diserzione dalle urne della metà degli elettori.
Fenomeni nuovi e complessi hanno investito la nostra società: invecchiamento della popolazione, immigrazione incontrollata, finanziarizzazione dell’impresa e nuovi colonialismi, ed infine la “rivoluzione” digitale che ha dato accesso a nuove opportunità, ma ha anche corrotto le diverse forme della mediazione politica e culturale.
Dobbiamo affrontare una sfida che è riduttivo circoscrivere alla economia, alla salute pubblica o al cambiamento climatico perché è anche una sfida filosofica nel senso che il modo di pensare guida e precede le scelte. Per questo avvertiamo la necessità di ripristinare una politica civile che rimedi ai guasti in costante aumento nella nostra società. La terapia è investire sulla cultura la cui regressione è la causa prima della crisi, sapendo che è indispensabile per affrontare le tante incognite determinate da un mondo investito da formidabili progressi materiali e pericoli mortali conseguenza di questi progressi.

Siamo in mezzo al guado, viviamo in un mondo a due facce, il mondo vecchio e il mondo nuovo. E in questo passaggio il capitalismo ha cambiato la sua natura, da produttore di merci a produttore di danaro, i lavoratori da salariati sono diventati autonomi. Oggi nel mondo globalizzato tutti i cittadini del pianeta lavorano inconsapevoli in un sistema capitalistico che non produce merci per creare valore, ma il valore nasce dal commercio del valore stesso: il capitalismo finanziario a sua volta ne ha generato un altro, niente più merce, né danaro, basta che miliardi di uomini entrino nel mondo digitale, il capitalismo delle piattaforme, e si produce il profitto per i padroni delle piattaforme.
Moderni argonauti siamo approdati nella nuova società: liberi dal bisogno ma prigionieri della paura. Ci manca l’acqua e il cibo scarseggia, le materie prime sono limitate e gli uomini si fanno la Guerra.

“È alla politica, alle democratiche istituzioni rappresentative, che vanno affidate le scelte e le decisioni che incidono sulla vita sociale e sulla libertà dei cittadini non alle strategie di grandi gruppi finanziari in base ai loro interessi, che vanno rispettati ma nell’ambito delle regole che devono osservare per tutelare i valori fondamentali della convivenza civile”. (Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella 2023)

Liquidato l’intervento diretto dello Stato nell’economia, abbandonato nei fatti il welfare-state e decretata la “morte delle ideologie” si è dissolto il sistema dei partiti della seconda metà del ‘900 lasciandoci in un deserto in cui i superstiti hanno cercato rifugio in un “luogo” abitato da comici e piazzisti, un pericoloso palcoscenico in cui si rappresenta la crisi della democrazia che è crisi del pensiero, come ha osservato il filosofo Edgar Morin.

Se crisi della democrazia è crisi del pensiero questa non può che tradursi in crisi di classe dirigente. La terapia è una sola, per “cambiare strada” c’è bisogno di più cultura e più idee. E soprattutto della partecipazione dei cittadini, ma il 50% degli elettori rifiuta le urne. E’ evidente che ciò è la conseguenza di un elevatissimo livello di disomogeneità sociale, è l’assenza di coesione nella società che porta alla polverizzazione delle opinioni sulla gestione della cosa pubblica e al disinteresse nella convinzione della inutilità della partecipazione. E’ evidente che la risposta all’astensionismo non può essere la riproposizione delle ideologie o delle culture politiche che hanno animato la vita democratica del secolo scorso: sconfitte dalla storia, non sono utilizzabili per il presente e tanto meno per costruire il futuro. Ma la risposta non può nemmeno essere il ribellismo delle “monetine” da cui è nato quel populismo che ha avuto il solo effetto di imbarbarire il dibattito pubblico e le relazioni sociali.
Quello che serve è un pensiero politico nuovo per la fase di transizione che stiamo vivendo. Si ha il dovere di dare risposte diverse da quelle tradizionali ad una società diversa, anzi alle mille società in cui si scompone.
In definitiva ritessere la tela di quelle culture politiche democratiche che sono servite a scrivere la Costituzione e di quelle politiche riformatrici che hanno modernizzato la società italiana. Il pensiero politico non è immutabile nel tempo e può rinnovarsi attraverso il dialogo e il confronto come dimostra l’esperienza dell’incontro tra cattolici, laici e socialisti che nel secolo scorso, con le politiche del centro-sinistra, hanno assicurato al nostro Paese mezzo secolo di sviluppo. Fermo rimanendo che non è più tempo di vecchie formule: sarebbe uno stupido errore riproporre sic et simpliciter idee politiche del “mondo antico”.

Lo spaesamento di larghi settori della pubblica opinione è figlio della perdita di radici. Ci siamo convinti di poterne fare a meno, immaginando che diventare moderni implicasse la disdetta di ogni tradizione.

“Fare memoria” disse il Presidente Mattarella in uno dei tradizionali appuntamenti di fine anno. Un messaggio inusuale, rigoroso una sferzata al paese e alla sua classe dirigente. Il futuro potrà essere migliore, disse il Presidente, se sapremo costruirlo facendo tesoro dei nostri ricordi, non per scivolare nella nostalgia del tempo perduto, ma per “fare memoria”. La coesione di un popolo passa anche attraverso la consapevolezza del comune destino e la capacità di guardare avanti senza dimenticare il passato.
Nelle contraddizioni della lunga transizione che viviamo abbiamo necessità di ritrovare, con umiltà, il filo della ricerca, la forza di riaffermare i valori.

Come riattivare la partecipazione dei cittadini? L’astensionismo si può battere allargando l’area di autogoverno dei poteri locali e da lì ripartire ampliando le occasioni del discorso pubblico. Certamente non basta: dobbiamo ripensare il discorso pubblico per evitare il riproporsi di pensieri unilaterali e semplificatori, per favorire una istruzione che metta il cittadino nella condizione di riconoscere il suo essere al tempo stesso biologico e culturale. Ma se l’umano è bipolare e la Storia, come sappiamo, non procede in maniera lineare si possono produrre deviazioni che mettono a rischio non solo le idee di autonomia e libertà ma anche l’organizzazione sociale e della produzione. Come possiamo osservare la ragione può mettersi al servizio della guerra e delle mitologie. L’unico antitodo capace di contenere le contraddizioni è la vita democratica.

E allora come curare la debolezza della nostra democrazia? La strada maestra è ridare rappresentanza ai cittadini, ma sappiamo che è un percorso molto accidentato: la rete ha innescato un processo che ha messo in discussione il primato del mediatore culturale minando alla radice il valore e la funzione stessa dei partiti, dei sindacati e delle associazioni. “Le classi dirigenti hanno compiti diversi in rapporto all’età, ha sottolineato il presidente Gargani concludendo la sua relazione, noi che ci chiamiamo ex dobbiamo indicare una strada legata alla storia ma capace di guardare al futuro”. Quindi il primo impegno sarà quello di una iniziativa per un rigoroso rispetto della Costituzione, e contemporaneamente un sistema di regole che garantisca il diritto dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti nel Parlamento Nazionale, ridare senso e potere alle istituzioni intermedie a partire dall’associazionismo volontario alle organizzazioni professionali, dai sindacati dei lavoratori ai partiti politici. È ovvio che il grande assente della politica italiana degli ultimi trent’anni, il partito come lo abbiamo conosciuto nel secolo passato non esiste più, e non può tornare per la semplice ragione che la società novecentesca non esiste più. Tuttavia sappiamo che una struttura front of delle istituzioni utile al cittadino per far sentire la sua voce è non solo necessaria, ma indispensabile a garantire il potere del Cittadino.
È una emergenza. I partiti attuali sono associazioni e movimenti, a cui si aderisce per ammirazione del capo o per acquisto di azioni, sono organizzazioni che rendono fragile la democrazia. Ciò è reso ancora più grave se si osserva che a guidare i partiti della seconda repubblica non sono leader ma soltanto personaggi popolari. Assistiamo al “trionfo” di chi è esperto nell’uso del linguaggio dei social, sa raccogliere i follower, (che non sono cittadini ma utenti in attesa di diventare elettori) e che sa contare i like (che sono clik in attesa di trasformarsi in voti). Siamo in una condizione per cui la democrazia rischia di divenire l’apoteosi del pifferaio magico.
Qual è l’alternativa? Una politica umanista di salute pubblica. Non più la speranza apocalittica della lotta finale, ma la speranza coraggiosa della lotta iniziale: per restaurare una concezione, una visione del mondo, un sapere articolato, un’etica, una politica. Facciamo la nostra parte come ci invita a fare la relazione del presidente Gargani. Un appello che non può rimanere senza risposta.

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