Un ricordo di Clelio Darida - di Pietro Giubilo

Un ricordo di Clelio Darida - di Pietro Giubilo

Un ricordo di Clelio Darida – di Pietro Giubilo

Pubblichiamo un ricordo di Clelio Darida, scritto da Pietro Giubilo e pubblicato online su "Il Popolo", storico organo di stampa della Democrazia Cristiana.

 

Clelio Darida, uomo colto, di grande intuito, deciso nelle battaglie politiche

La vicenda umana e politica di Clelio Darida, personalità di spicco nella vita politica ed amministrativa dell’Italia della seconda metà del ‘900, appare come esemplare di ciò che è stata la Democrazia Cristiana. Nell’impegno politico e amministrativo, la sua coerenza con i grandi temi dei democratici cattolici, fu innervata dal suo carattere e dalla sua equazione personale, quelle, come ha scritto Lucio d’Ubaldo, di “un uomo colto, dotato di grande intuito, deciso nelle battaglie politiche, solerte e concreto nell’impegno amministrativo”.

Sin dagli inizi - nasce a Roma nel 1927 - cioè negli anni ’40 e ’50, la sua militanza politica si intreccia con i fermenti del cattolicesimo sociale che, a Roma, ha avuto iniziative e figure di grande qualità. Frequenta la scuola di don Tullio Piacentini la cui congregazione della Madonna della Fiducia ha lasciato opere sociali ancora presenti nel quartiere Appio di Roma. Nel contempo, a vent’anni, è vice dirigente romano degli Uffici della S.P.E.S. (Studi, Propaganda e Stampa). Mantiene un consolidato rapporto con le strutture cattoliche quale responsabile del Centro Oratori, sempre accompagnandolo all’impegno nel movimento giovanile romano del Partito.

Lo ricorderanno e lo rappresenteranno sempre due suoi amici e collaboratori di grande spessore umano e culturale, Francesco Cannucciari e Franco Splendori, che ebbero grande vicinanza a don Luigi Di Liegro, indimenticabile fondatore della Caritas diocesana di Roma.

Sempre negli anni ’50, mentre si insedia la segreteria di Fanfani (1954-1959), Darida, nell’ambito della sinistra del Partito, organizza la pubblicazione di un periodico, “Città del Lazio”, la cui redazione è nella sua abitazione, in Via Voghera 7, sigla che rimarrà a denominare la compagine che si presenterà agli appuntamenti congressuali, nella corrente di Nuove Cronache.

Tale appartenenza lo colloca, si può dire naturaliter, nel campo riformatore della proposta politica del partito cristiano. Un ambito di elaborazione programmatica e di creazione di condizioni sociali volte al temperamento del “rischio” liberista che connotarono, sin dall’inizio, i programmi della Dc. Ed è, infatti, questa attenzione alla condizione dell’uomo, della comunità in cui vive e delle opportunità che possono essere offerte per la crescita, che costituiranno il terreno sul quale Clelio Darida si misurerà durante tutta la sua esperienza politica, di amministratore nei diversi livelli in cui operò e di uomo di partito, costruttore di confronti e di tesi politiche.

Prima di approdare all’impegno in Campidoglio, avrà una breve esperienza come membro della commissione amministrativa dell’ACEA, l’azienda municipale, oggi spa, che rappresenta il cuore erogatore dei servizi essenziali della Città, passaggio obbligato per tanta parte dei quadri politici della Capitale.

Entrato in Consiglio Comunale nel 1960, dopo tre anni è assessore alla Sanità, dove si dimostra capace di realizzare nuovi spazi operativi per le istituzioni comunali, mentre il suo impegno politico nel Partito è quello di membro del Consiglio nazionale e vice segretario del Comitato romano. Poco più che trentenne, unisce alla partecipazione ai confronti e dibattiti generali – era il tempo della prospettiva politica di centrosinistra - l’impegno negli enti locali, un passaggio obbligato per i giovani dc che militavano in una forza politica che aveva una delle sue ragion d’essere come “scuola di rappresentanza”. Arriverà fino alla presidenza dell’ANCI, la prestigiosa organizzazione rappresentativa degli enti locali comunali.

Nel 1963 è eletto alla Camera con un alto numero di preferenze, incarico che lascerà nel 1969 per diventare Sindaco di Roma. Una scelta significativa, preferendo l’esperienza nell’aula di Giulio Cesare, cui restò più nostalgicamente affezionato, come disse a chi scrive.

Il suo impegno al vertice amministrativo della Capitale, è ricoperto per un lungo e travagliato periodo, dal 1969 al 1976. Nel 1969 quando viene eletto Sindaco, l’Italia vive gli anni della crisi del centrosinistra e a Roma affiora l’instabilità nei rapporti con il Partito Socialista – dopo soli cento giorni dal suo insediamento il PSI chiede una verifica - ma che Darida riesce, comunque, a fronteggiare, con decisa assunzione di responsabilità, in qualche caso, con giunte monocolori, appoggiate dall’esterno dai partiti di centro e sinistra.

Queste continue difficoltà - insieme ad una non sufficiente attenzione e disponibilità del governo centrale – purtroppo, ebbero il costo di non poter avviare l’obbiettivo strategico del Nuovo Piano Regolatore Generale del 1965, cioè il grande progetto dell’Asse Attrezzato, poi denominato Sdo (Sistema Direzionale Orientale), da sempre avversato dalla sinistra, anche se, comunque, la giunta Darida, apprestò il “Piano Margherita” redatto da Piero Samperi, insigne urbanista e dirigente del Comune, che lanciò l’idea di riorganizzare la periferia intorno a dei poli che, se realizzati, avrebbero riordinato i grandi agglomerati senza volto della città periferica.

Sono anche anni difficili per la Città che aveva in atto una immigrazione dal Sud e dalle zone interne, a fronte delle quali le scarse risorse che lo Stato centrale concede non consentono di offrire servizi sufficienti. Lo sviluppo della città “spontanea” e le difficoltà derivanti dalla mancata attuazione delle importanti previsioni circa la modernizzazione della direzionalità pubblica e privata del Piano Regolatore Generale che Amerigo Petrucci aveva condotto porto, debbono, comunque, essere affrontate.

E questa sfida viene colta, nonostante le insufficienti risorse. Tale questione che rallentava e, a volte, impediva di realizzare progetti e interventi decisivi per la Città, il sindaco Darida non mancò di denunciare sin dagli inizi, come a settembre del 1969, in sede nazionale, in un importante articolo su La Stampa dal titolo significativo “La Capitale dei debiti”, ripetuto su Il Giorno il mese successivo nel quale scrisse esplicitamente: ”possiamo tirare avanti solo facendo debiti su debiti”. Ricorse, sulla base della credibilità della sua giunta, agli interventi provvidenziali della Cassa Depositi e Prestiti, anche per risolvere esigenze di spese correnti.

Nonostante queste difficoltà, Darida conduce l’impegno della giunta con determinazione: il risanamento delle borgate che la sinistra attribuirà, indebitamente, come sua realizzazione, inizia con la previsione e l’avvio degli impianti di depurazione - attraverso l’ACEA, presidente Salvatore La Rocca - che consentono di estendere la rete fognante in una immensa periferia “spontanea” che occupava circa un quarto della Città.

Con essa, concomitante, la costruzione di strade e la diffusione della rete idrica ed elettrica. Anche la risposta alla domanda di alloggi e di istituti scolastici è impressionante, cifre mai raggiunte in passato, con strumenti legislativi a volte non completamente adeguati, come nel caso della legge 167 che, allora, non consentiva di realizzare, oltre gli alloggi di edilizia economica e popolare, anche la necessaria rete commerciale e dei servizi.

Decisiva l’acquisizione di ville storiche e l’ampliamento degli spazi verdi pubblici che faranno di Roma la città più dotata di verde per abitante d’Italia. Durante il suo mandato non mancò di recarsi nei “punti caldi” della Città, nei “borghetti”, come quello del Prenestino, nel quale operavano anche associazioni di laici cattolici. Il Sindaco di Roma, mostrava Darida, era il sindaco di tutti.

Realizzò una importantissima riforma delle strutture comunali, come la istituzione delle Circoscrizioni, deliberata dal Comune anche in assenza di una normativa specifica che sopraggiungerà solo alcuni anni dopo, con una legge proposta da Nicola Signorello. Ad esse, nel 1974, venne affidato un importante passaggio del governo della Città, cioè la discussione e il parere sulle varianti del PRG del 1965.

Resta significativo che questa partecipazione con le interessanti proposte di assetto urbanistico, espresse dai territori, soprattutto della periferia della Città, vennero messe nel cassetto, quando, con le elezioni del 1976, la Giunta di Roma passò nelle mani della sinistra. Resta il valore di questo cambiamento, guidato dal Sindaco Darida, nel governo di una Città complessa come la Capitale: la Dc, partito delle istituzioni e della partecipazione, con questo provvedimento dava un connotato strutturale alle esigenze di coinvolgimento dei cittadini che si erano manifestate con i comitati di quartiere che, influenzati dal Partito Comunista, avevano un marcato carattere partitico e assembleare.

L’esperienza delle giunte Darida, quindi, assunse un chiaro connotato cattolico sociale nel porsi come obbiettivo primario il recupero dell’emarginazione diffusa e delle condizioni di vita nelle zone sorte spontaneamente e abitate da cittadini che erano giunti a Roma con la voglia di lavorare e di creare opportunità.

Proprio perché fortemente motivato dalla necessità del risanamento e dello sviluppo e avendo raggiunto importanti risultati, il partito dc, il partito di Darida e Petrucci, pur senza polemiche, non accolse con favore il significativo Convegno sui “mali di Roma”, promosso dal Vicariato che non considerava sufficiente il grande impegno profuso nella Città, anche sotto l’aspetto partecipativo.

Al di là delle intenzioni di carattere pastorale, i temi e la strumentale utilizzazione dell’evento da parte della sinistra, finì – nonostante un incremento significativo dei voti alla Dc - per spianare, nelle elezioni del 1976, la strada al Pci, per giungere alla guida del Campidoglio con la nomina di Giulio Carlo Argan e, poi, con l’insediamento di Luigi Petroselli.

Terminata la pagina dell’esperienza nei palazzi capitolini, a Clelio Darida, giustamente, si riapre lo spazio per un ruolo nazionale, partecipando, con incarichi ministeriali importanti, a numerosi governi.

A cominciare, nel 1976, come sottosegretario agli Interni, quindi tre anni dopo, per alcuni mesi, prima ai Rapporti con il Parlamento e successivamente alle Poste intervenendo per un assetto adeguato delle società come Stet, Sip, Italcable e Telespazio.

Tra l’80 e l’81 è alla Funzione Pubblica, attento ad intervenire per favorire un ampiamento dell’accesso all’Istruzione, anche alle facoltà universitarie, impegnandosi anche per il rinnovo dei contratti degli insegnanti, fermi da tempo. Per tre anni, dall’81 all’83, è Ministro di Grazia e Giustizia e da quell’incarico si occuperà di episodi cruenti della “rivolta delle carceri”.

Sono anni difficili nei quali dilaga il terrorismo che Darida affronterà, nell’ambito delle sue competenze, con il disegno di legge concernente “misure per la difesa dell’ordinamento costituzionale”, per difendere il primato delle istituzioni e autorizzare l’uso di strumenti adeguati. Porterà in porto la soppressione della depenalizzazione del cosiddetto “delitto d’onore”, una concreta difesa dell’eguaglianza della donna di fronte alla giustizia.

Infine, ricopre il suo ultimo incarico in sintonia con la sua cultura di riferimento in ambito di partito, cioè dall’agosto dell’83 al luglio dell’87 è al Ministero delle Partecipazioni Statali. La sua attività si caratterizzerà per un’opera di efficientamento e riordino di tale settore, anche sotto il profilo dei sistemi informatici, nei rapporti con le aziende private, negli interventi per il Mezzogiorno, nei settori nevralgici come la siderurgia, il settore energetico, la cantieristica e le telecomunicazioni, ritenendo possibili la cessione di imprese che avessero un carattere meno strategico. A tale scopo viene istituita una autorevole commissione di studio.

Non mancò un grande lavoro di territorializzazione in Sardegna, in Abruzzo, nel Lazio, nel Mezzogiorno. In questa intensa attività, il Ministro Darida non poteva non ispirarsi al forte ruolo svolto dalla cultura manageriale degli uomini che si erano formati all’IRI, sostenitori di quella che veniva indicata come “terza via”, che Vanoni meglio definiva la “nostra via”, negli anni della “prepolitica”, tra il 1941 e il 1945, nei quali si preparavano i primi documenti e programmi dei cattolici impegnati nella ricostruzione dell’Italia e per la nascita della Democrazia Cristiana.

Purtroppo gli eventi che sopraggiunsero dal febbraio del 1992 e una sollecitazione liberista che ebbe modo di espandersi anche per l’indebolimento del sistema politico, cambiarono il Paese e, non certamente, in meglio.

La DC subisce, insieme ai partiti che avevano governato per decenni l’Italia, i colpi delle inchieste giudiziarie, non sempre motivati e, spesso, non obbiettivamente volti a intervenire nei riguardi di tutte le illegittimità e di tutti i soggetti politici che avevano operato per attività di corruzione e di finanziamenti illeciti. Soffre la DC e soffrirà anche Darida. Anche in questo caso, assistiamo ad un parallelismo: quello tra il dramma del Partito, e un ingiusto coinvolgimento dell’ex sindaco.

Avvenne quello che lui stesso, in una intervista del 2002, definì “il potere di sostituzione, teorizzato da Magistratura Democratica”. Con elegante sarcasmo definirà il suo arresto, deciso dal pool di Milano, nel giugno del 1993, “un vero primato”, in quanto disse in una intervista, ”dopo aver lasciato il Ministero delle Partecipazioni statali col governo Craxi, sono diventato il primo detenuto che si era già occupato di carceri come Ministro della Giustizia”.

Ovviamente dopo i due mesi di detenzione e 30 giorni di domiciliari, un anno dopo arriva la sentenza di proscioglimento in sede di udienza preliminare, senza nemmeno arrivare al processo, quindi, come ricordava Darida, “senza mai comparire in un aula giudiziaria”, per “assoluta inesistenza di qualsiasi tipo di traccia di un mio coinvolgimento in quei fatti”.

L’amara esperienza “risolta con la restituzione dell’onore pubblico” e, come è stato, giustamente, scritto, “sopportata con dignità e forza”, non spense la vitalità del parlamentare democristiano, la sua capacità di iniziativa politica e la voglia di difendere i principi politici che avevano sempre animato la sua azione nel Partito, a Roma e al governo del Paese.

Parteciperà alle iniziative che si svilupperanno per ricostruire, o meglio “rifondare” il Partito, basate su sentenze della Cassazione che avevano decretato che la Democrazia Cristiana non era mai stata sciolta con la costituzione, nel 1994, del Partito Popolare, in quanto il Consiglio Nazionale, che così aveva operato, non aveva il potere di deliberarne lo scioglimento. I promotori di quelle diverse iniziative gli riconosceranno un primato morale, nominandolo Presidente onorario, ma oltre a una testimonianza di coerenza e di affezione, gli esiti di quei progetti politici non raggiunsero altri obbiettivi.

La sua memoria appartiene ad una storia politica che resta un riferimento che spetta al lavoro degli storici di richiamare e descrivere nella giusta luce. Lo scorrere della intensa vita politica di Clelio Darida e il richiamo e la consegna alle nuove generazioni del suo patrimonio di idee e di azione, rappresenta un incancellabile punto di riferimento e di comprensione di una grande cultura popolare, del giusto pensiero politico e di uno splendido esempio di umanità e di passione.

Pietro Giubilo

 

Clelio Darida, uomo colto, di grande intuito, deciso nelle battaglie politiche

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