"Vincolo di mandato, taglio dei parlamentari così rischia il rapporto tra eletti e cittadini" - di Giuseppe Gargani

"Vincolo di mandato, taglio dei parlamentari così rischia il rapporto tra eletti e cittadini" - di Giuseppe Gargani

“Vincolo di mandato, taglio dei parlamentari così rischia il rapporto tra eletti e cittadini” – di Giuseppe Gargani

Pubblichiamo qui di seguito il testo di un articolo di Giuseppe Gargani "Vincolo di mandato, taglio dei parlamentari così rischia il rapporto tra eletti e cittadini", apparso su Il Dubbio del 3 ottobre 2019.

 

"Il passaggio di alcuni parlamentari da un gruppo ad un altro, in particolare al gruppo di “Italia Viva“ di Matteo Renzi ha consentito ai rappresentanti di Cinque Stelle, o per meglio dire al solo Di Maio, di rispolverare la proposta di modifica costituzionale per attribuire un “vincolo di mandato“ al parlamentare che per il dettato della Costituzione esercita le sue funzioni “senza vincolo di mandato”. A dispetto del sen. Marcucci che ha voluto ironizzare sulle dichiarazione di Di Maio sappiamo che i grillini non lo “dicono per scherzo” ma con inconsapevole volontà, per cui è opportuno attrezzarsi perché l’assalto alle istituzioni sarà costante.

Questa volontà distruttiva della democrazia rappresentativa finora sussurrata appena, si aggiunge a due iniziative più concrete messe in atto; la riduzione del numero dei parlamentari e il referendum propositivo. Le tre questioni se fossero portate a termine avrebbero un effetto distorsivo e incriminerebbero seriamente la democrazia rappresentativa.

Se il nuovo governo, ma soprattutto la nuova maggioranza, deve segnare una discontinuità rispetto al passato non possono approvare proposte così deleterie e non potranno trovare e aggiustamenti di nessun tipo in avvenire.

Mi meraviglia che una persona di raffinata cultura come Del Rio capogruppo del PD alla camera dei deputati si sia dichiarato disponibile a “mantenere gli impegni” per ridurre i parlamentari senza garanzie adeguate.

Esaminiamo brevemente le tre questioni per avere certezza dei pericoli a cui siamo esposti.

1) Una lettura attenta dei lavori preparatori della Carta Costituzionale convincerebbe anche gli ignari che il riconoscimento della libertà di opinione dei parlamentari che qualifica di per sé la democrazia parlamentare, si giustifica proprio per la sovranità dell’elettore il quale ha interesse che il rappresentante dell’intera azione sia vincolato anche dal partito di provenienza. Si tratta di una conquista storica ottenuta dopo le vicende del secolo XVIII e XIX che hanno consentito il superamento delle dittature e delle monarchie, sul quale appunto “non si può scherzare“.

Orbene debbo confessare che essendo un deputato di lungo corso mi sono sempre fatto carico delle polemiche ricorrenti per il passato sull’invadenza della partitocrazia che pur avevano una qualche validità. Il parlamentare deve trovare un punto di equilibrio tra l’appartenenza ad un partito e ad un gruppo e la sua coscienza, equilibrio difficile: la critica era rivolta a chi faceva prevalere “l’appartenenza“.

Ora pur non tenendo in conto che “cinque stelle” opera con un contratto privato scandaloso e fuori norma firmato dal parlamentare con un’agenzia privata, desta davvero meraviglia che Grillo e i grillini dopo aver lottato contro la casta e il “sistema“ iniquo, auspicano la subordinazione del deputato e del senatore e il trionfo di una partitocrazia molto peggiore. Senza dubbio i partiti per il passato avevano una forte consistenza e ora sono solamente personali. Insomma i parlamentari dovrebbero ubbidire a un capo sprovveduto come Luigi Di Maio?!

2) La riduzione del numero dei parlamentari è stata purtroppo auspicata anche per il passato in maniera inconsapevole senza una giustificazione plausibile se non la sciocca volontà di superare l’ostilità dell’opinione pubblica nei confronti della politica! Rimedio molto miope e sbagliato come tutte le cose fatte anche per il passato, per accarezzare le mode o le emozioni del momento: errori non giustificabili fatti dalla DC ma anche dal PCI!

Ora si vuol procedere speditamente e al buio senza tenere conto delle gravi conseguenze che si avranno sul piano interno per il funzionamento delle Assemblee e sul piano istituzionale nel suo complesso.

Si dice che il nostro Parlamento è pletorico e si trascura che l’Italia nel rapporto tra il numero dei parlamentari e gli abitanti è al 22º posto in Europa quindi con un numero sostanzialmente adeguato. Con la riduzione si vuole un Parlamento meno rappresentativo, con meno “poltrone” come si dice con propaganda ossessiva per delegittimare la funzione, ma al tempo stesso si invoca “il popolo” per strumentalizzarlo e farlo contare di meno.

Con il taglio dei parlamentari si ridurrebbe il rapporto tra eletti ed elettori perché verrebbe enormemente dilatato lo spazio dei collegi elettorali: ogni deputato rappresenterebbe oltre 400.000 abitanti e ogni senatore oltre 800.000. Non vi sarebbe nessuna possibilità di presenza sul territorio del candidato eletto per esercitare anche lì la sua funzione rappresentativa.

D’altra parte la dilatazione del collegio, a legge elettorale invariata, determinerebbe maggiore mortificazione della rappresentanza perché renderebbe ancora più “maggioritario il sistema”.

L’attuale soglia di sbarramento al 3 %, passerebbe, al 10/20%. Alcuni studi hanno offerto proiezioni per cui nei collegi “plurinominale” del Senato in Piemonte e Veneto la soglia sarebbe dell’11%, in Friuli del 25, il Liguria del 33, in Toscana del 14, in Umbria del 25, nelle Marche del 33, in Abruzzo Sardegna del 33, in Basilicata e Calabria del 25. Nei collegi uninominali, dove chi arriva primo è eletto, soltanto i partiti che prendono più del 20% sarebbero eletti.

E va rilevato per ultimo che con un numero minore di parlamentari non migliorerà certamente il funzionamento delle Camere e l’iter legislativo sarà molto più accidentato.

In ogni caso non migliorerebbe la qualità del legislatore, come è stato detto, perché sarebbero agevolati quelli più graditi a chi organizza le liste elettorali!!!

La patologia italiana è che l’elettore non si sente rappresentato, nel caso la riforma indebolisse il significato della rappresentanza rifiuterebbe ancor più di andare a votare.

3) Il referendum propositivo è l’espressione più compiuta del populismo e serve per delegittimare definitivamente il Parlamento perché travolge la democrazia parlamentare. La raccolta di almeno 500.000 firme consente di chiedere un referendum non solo per abrogare una legge ma anche per proporne una, e il Parlamento, dovrà approvare una legge identica a quella proposta altrimenti gli elettori potranno avere l’ultima parola e per qualunque materia.

Al Parlamento si sostituiranno le lobby i comitati di gruppi di affari che debbono affermare principi e interessi che forse il Parlamento nella sua sovranità non accetterebbe mai.

Rispetto a queste problematiche e a queste complesse questioni la sorpresa molto amara è che da un lato il Parlamento non reagisce adeguatamente, dall’altro assistiamo al silenzio più assoluto dei costituzionalisti e degli uomini di cultura che hanno per il passato reagito alle iniziative della destra autoritaria e ora non gridano allo scandalo, alla revisione di fatto della Costituzione.

Ho presieduto un “comitato per il NO”, contro il referendum del dicembre 2016 e con grande entusiasmo abbiamo contribuito alla vittoria; riconosco oggi che quel referendum equivoco avrebbe fatto venir fuori una Repubblica equivoca né parlamentare né presidenziale e avrebbe fortemente alterato lo spirito della Costituzione; ma le tre proposte sopra indicate determinerebbero eguali danni se non peggiori perché liquidando la democrazia rappresentativa aprirebbero la strada ad una inconsistente e irreale democrazia diretta. Vorrei che il giornale invitasse i massimi esperti della Costituzione a esprimere il loro parere: potrebbero orientare il Parlamento e forse creare qualche caso di coscienza in chi ha a cuore il destino del paese.

Giuseppe Gargani

 

 

 

 

 

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